Alla vigilia del ventiseiesimo anniversario della strage di via D’Amelio, Fiammetta Borsellino, figlia del procuratore aggiunto, Paolo Borsellino torna a chiedere verità sull’attentato e sul depistaggio delle indagini: “basta con i misteri di stato, diteci la verità“. In una lettera pubblicata dal quotidiano “La Repubblica” la figlia del giudice assassinato formula tredici domande che attendono risposta: “Da uomini delle istituzioni e non solo. Ci sono domande che io e miei fratelli Manfredi e Lucia non smetteremo di ripetere che non possono essere rimosse dall’indifferenza o da colpevoli disattenzioni. Domande su un depistaggio iniziato nel 1992, ordito da vertici investigativi ed accettato da schiere di giudici“.
A 26 anni dall’uccisione del padre e dei poliziotti della scorta Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina, Claudio Traina, Fiammetta Borsellino – come già aveva fatto nella nostra intervista esclusiva – chiede di sapere “Perchè le autorità locali e nazionali preposte alla sicurezza non misero in atto tutte le misure necessarie per proteggere mio padre, che dopo la morte di Falcone era diventato l’obiettivo numero uno di Cosa nostra?“.
Il secondo quesito della figlia del magistrato è “perchè per una strage di così ampia portata fu prescelta una procura composta da magistrati che non avevano competenze in ambito di mafia? L’ufficio era composto dal procuratore capo Giovanni Tinebra, dai sostituti Carmelo Petralia, Annamaria Palma (dal luglio 1994) e Nino Di Matteo (dal novembre ’94)“.
La terza domanda è “Perchè via D’Amelio, la scena della strage, non fu preservata consentendo cosi’ la sottrazione dell’agenda rossa di mio padre? E perchè l’ex pm allora parlamentare Giuseppe Ayala, fra i primi a vedere la borsa, ha fornito versioni contraddittorie su quei momenti?
Perchè i pm di Caltanissetta non ritennero mai di interrogare il procuratore capo di Palermo Pietro Giammanco, che non aveva informato mio padre della nota del Ros sul ‘tritolo arrivato in città” e gli aveva pure negato il coordinamento delle indagini su Palermo, cosa che concesse solo il giorno della strage, con una telefonata alle 7 del mattino?”
Le domande di Fiammetta Borsellino proseguono. “Perchè nei 57 giorni fra Capaci e via D’Amelio, i pm di Caltanissetta non convocarono mai mio padre, che aveva detto pubblicamente di avere cose importanti da riferire? 6. Cosa c’e’ ancora negli archivi del vecchio Sisde, il servizio segreto, sul falso pentito Scarantino (indicato dall’intelligence come vicino ad esponenti mafiosi) e sul suo suggeritore, l’ex capo della squadra mobile di Palermo Arnaldo La Barbera?“.
Entrando nel merito dei 4 processi celebrati sulla strage, Fiammetta Borsellino chiede di sapere “Perchè i pm di Caltanissetta non depositarono nel primo processo il confronto fatto tre mesi prima fra il falso pentito Scarantino e i veri collaboratori di giustizia (Cancemi, Di Matteo e La Barbera) che lo smentivano? Il confronto fu depositato due anni più tardi, nel 1997, solo dopo una battaglia dei difensori degli imputati“.
E poi prosegue: “Perchè i pm di Caltanissetta furono accomodanti con le continue ritrattazioni di Scarantino e non fecero mai il confronto tra i falsi pentiti dell’inchiesta (Scarantino, Candura e Andriotta), dai cui interrogatori si evinceva un progressivo aggiustamento delle dichiarazioni, in modo da farle convergere verso l’unica versione?
Perchè la pm Ilda Boccassini (che partecipò alle prime indagini, fra il giugno e l’ottobre 1994), firmataria insieme al pm Sajeva di due durissime lettere nelle quali prendeva le distanze dai colleghi che continuavano a credere a Scarantino, autorizzo’ la polizia a fare dieci colloqui investigativi con Scarantino dopo l’inizio della sua collaborazione con la giustizia?“.
E ancora “Perchè non fu mai fatto un verbale del sopralluogo della polizia con Scarantino nel garage dove diceva di aver rubato la 126 poi trasformata in autobomba? Perchè i pm non ne fecero mai richiesta? E perchè nessun magistrato ritenne di presenziare al sopralluogo?“.
A proposito di quanto emerso nel corso del processo “Chi è davvero responsabile dei verbali con a margine delle annotazioni a penna consegnati dall’ispettore Mattei a Scarantino? Il poliziotto ha dichiarato che l’unico scopo era quello di aiutarlo a ripassare: com’è possibile che fino alla Cassazione i giudici abbiano ritenuto plausibile questa giustificazione?”
Poi Fiammetta Borsellino ricorda che “il 26 luglio 1995 Scarantino ritrattava le sue dichiarazioni con un’intervista a Studio Aperto. Prima ancora che l’intervista andasse in onda, i pm Palma e Petralia annunciavano già alle agenzie di stampa la ritrattazione della ritrattazione di Scarantino, anticipando il contenuto del verbale fatto quella sera col falso pentito. Come facevano a prevederlo?“.
E infine “Perchè Scarantino non venne affidato al servizio centrale di protezione, ma al gruppo diretto da La Barbera, senza alcuna richiesta e autorizzazione da parte della magistratura competente?“.
Domande alle quali Fiammetta Borsellino, la sua famiglia e gli italiani, attendono risposta.
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