Sarà perché al SI del referendum a Bruxelles ci tenevano parecchio, sarà che noi siamo un po’ lenti a “recepire” e metterci in regola ma da qualche giorno nei rapporti tra Ue ed Italia si respira una brutta aria. La Sicilia sta già pagando un prezzo altissimo con l’incasinamento della vicenda precari, la cui stabilizzazione è stata stralciata dalla Legge di stabilità nazionale per consentire una rapida fiducia al governo Renzi dimissionario. Il motivo di tanta confusione, di tanto tanfo forse c’è. Il leggero olezzo potrebbe essere legato al fatto che l’Italia – e “purtroppo” la Sicilia sarebbe in testa – non ha aderito a una sentenza della Ue targata 2012 sul trattamento delle acque reflue? Andiamo con ordine, dietro il termine acque reflue si celano sia i residui più infimi del metabolismo umano, sia quelli generati dall’azione industriale. Tutto quel materiale immondo da qualche parte deve finire. Secondo Bruxelles (ma lo dicono anche le ricerche di Legambiente), i residui made in Italy vengono trasferiti in modo quantomeno bizzarro. Dalle nostre case, dai nostri water, dalle nostre fabbriche, ogni genere di cacca biologica o chimica finisce – per colpa di molti comuni italiani – nei mari e nei fiumi senza il necessario “trattamento”.
Nell’anno 2012, dunque, la Commissione si accorse che qualcosa negli scarichi del Belpaese non andava. E andò giù pesante censurando il “reflusso” di 109 comuni. Proprio oggi, la Commissione ci avverte che in quel lotto di assembramenti umani ce ne sono ancora 80 fuori regola e, disgraziatamente per noi, 51 di questi sono in Sicilia. Così, col severo cipiglio del fustigatore nell’interesse del bene comune, la Commissione europea ha nuovamente deferito l’Italia alla Corte di giustizia dell’UE per la mancata esecuzione della sentenza Anno Domini 2012 sulle acque reflue urbane.
A margine i commissari scrivono così “Le autorità italiane devono ancora garantire che vengano adeguatamente raccolte e trattate in 80 agglomerati del paese, dei 109 oggetto della prima sentenza, al fine di evitare gravi rischi per la salute umana e l’ambiente“. Ed aggiungono che “a distanza di quattro anni la questione non è ancora stata affrontata in 80 agglomerati, che contano oltre 6 milioni di abitanti in diverse regioni italiane“. Di questi 80 agglomerati, 51 si trovano in Sicilia . La Commissione ha chiesto alla Corte di giustizia dell’UE di comminare una sanzione forfettaria di 62.7 milioni di euro e propone inoltre una sanzione giornaliera pari a 346.922 euro “qualora la piena conformità non sia raggiunta entro la data in cui la Corte emette la sentenza“.
C’è poco da scherzare. Se il conto appare salato, le conseguenze sono peggiori, perché spiega la nota di Bruxelles “la mancanza di adeguati sistemi di raccolta e trattamento in questi 80 agglomerati pone rischi significativi per la salute umana, le acque interne e l’ambiente marino“. La decisione finale in merito alle sanzioni spetta alla Corte di giustizia dell’UE. Mancano i soldi per questi interventi? Assolutamente no. Proprio per far fronte alla bocciatura della Commissione Europea del 2012, lo Stato e la Regione siciliana hanno sottoscritto un accordo di programma quadro ben dettagliato e ben rifornito sul piano finanziario: 1 miliardo e 161 milioni, come risulta dall’accordo, siglato a Roma il 30 gennaio del 2013.