Il 23 febbraio 2006 il minatore Vincenzo Noto è morto stritolato da un blocco di salgemma di 200 tonnellate; l’uomo stava guidando una pala meccanica durante un lavoro nella miniera Italkali a 300 metri di profondità per l’estrazione del sale quando la cabina di guida rimase completamente schiacciata da un blocco di salgemma, fatalità o errata manutenzione dei cunicoli?
In primo grado era stato inflitto un anno di reclusione a Calogero Schembri, 55 anni, direttore del sito; sei mesi a Stefano Giuseppe Iacono, 62 anni, dipendente addetto alla sorveglianza. Quasi undici anni dopo la prescrizione cancella le condanne ma i due imputati, sempre se la Cassazione confermerà il verdetto, dovranno comunque pagare il risarcimento dei danni ai familiari di Vincenzo Noto che si sono costituiti parte civile con l’assistenza dell’avvocato Vincenza Gaziano.
Secondo la Procura quelle operazioni si sarebbero dovute svolgere con una pala radiocomandata a distanza per evitare che i blocchi di sale si potessero staccare, come è avvenuto, schiacciando gli operai. A Schembri e Iacono si contestava inoltre di non avere provveduto a informare il dipendente dei rischi connessi alla sua attività.
I giudici della terza sezione della Corte di appello di Palermo, presieduta da Fabio Marino, hanno riformato la sentenza, emessa il 10 gennaio di tre anni fa dal giudice monocratico di Agrigento, Ottavio Mosti, dichiarando l’avvenuta prescrizione del reato. In realtà la modifica non stravolge il senso del verdetto di primo grado ma, essendo trascorsi oltre dieci anni dall’incidente mortale sul lavoro, il reato di omicidio colposo non è più punibile. Il processo a carico di Schembri e Iacono scaturisce da una seconda inchiesta, avviata dopo il processo concluso con la condanna definitiva di Giuseppe Manno, legale rappresentante della cooperativa di cui Noto era dipendente.
In primo grado, in questo stralcio dell’inchiesta, era imputato anche Angelo Iannello, 53 anni, caposervizio dell’azienda. Il processo è stato particolarmente lungo e complesso e alla fine Iannello venne assolto in via definitiva perché il giudice ha ritenuto che non rientrasse fra i suoi compiti quello di informare i dipendenti dei rischi connessi all’attività o coordinare il lavoro degli stessi operai.