Braccato da tutte le polizie europee, nella sua lunga fuga da Berlino, Anis Amri forse aveva in mente una meta siciliana: Catania. Di sicuro Sesto San Giovanni non era la sua destinazione finale, ma soltanto una tappa di passaggio. Secondo un’indagine ancora top secret – rilanciata in anteprima dal sito “Tribupress”– il terrorista autore della strage al mercatino di Natale di Berlino avrebbe potuto contare su una rete di contatti anche in Sicilia, proprio nella città alle falde dell’Etna.
Secondo le ricostruzioni finora raccolte, Amri, dopo aver lanciato il camion a tutta velocità contro la folla radunata nel mercatino di Charlottensburg, quartiere di Berlino Ovest, ha organizzato il suo viaggio per sfuggire all’arresto. Aveva in mente una destinazione precisa? I primi passi dimostrano di sì. Viaggia in treno dalla Germania alla Francia, per poi dirigersi a Torino. Le telecamere della stazione piemontese lo riprendono nel momento in cui compra i biglietti dal dispenser automatico. L’occhio elettronico registra un primo tentativo di comprare un biglietto per Roma. Poi, cambia idea e decide di acquistare il ticket per Milano, per poi dirigersi a Sesto San Giovanni. Cerca rifugio e non lo trova? Poi, a notte fonda, prova ad entrare nella stazione ormai chiusa.
L’ipotesi ventilata è che Amri cercasse un contatto con una “cellula” logistica in grado di ospitarlo e proteggerlo dalle polizie di tutta Europa sguinzagliate sulle sue tracce. Ora la novità: dalla Lombardia, Amri avrebbe dovuto raggiungere la Sicilia e rifugiarsi a Catania. L’indagine viene definita “riservatissima”. Su che tipo di appoggi logistici avrebbe potuto contare Amri alle falde dell’Etna? Il contesto è ancora tutto da definire ma per grandi linee si immagina l’esistenza di una rete “integrata” nei centri di accoglienza. Probabilmente si tratta di battitori liberi che hanno fornito generalità false e offerto una data di nascita diversa da quella vera. La rete in contatto con Amri si sarebbe dunque mimetizzata tra i migranti e i minori ospitati in provincia di Catania.
Da quel che racconta “tribupress”, le cellule logistiche dell’integralismo islamico potrebbero contare anche su un sostegno di carattere “politico” da parte di gruppi attivi nei centri sociali. Inchieste recenti mostrano contatti tra la rete antagonista e di alcuni profughi siriani radicalizzati (status politico certificato dall’allora procuratore di Catania, Giovanni Salvi). Non va dimenticato che soltanto tre anni fa la Procura di Bari portò alla luce una rete “tunisina” – stessa nazionalità di Amri – di jihadisti che si addestravano nelle basi improvvisate di Andria e di Scordia, a pochi chilometri da Catania. Il livello di guardia per l’allarme terrorismo è stato alzato già da alcuni giorni a “livello 2”. Anche a Catania verranno applicate le misure previste dal protocollo. Perchè Amri voleva tornare in Sicilia? Gli investigatori valutano un ventaglio di ipotesi. C’è il sospetto che il terrorista avrebbe tentato – grazie ai suoi contatti con gli “ospiti” dei centri di accoglienza del catanese – di approfittare di un prossimo, probabile, certo, sbarco di migranti per ricostruirsi una nuova identità. Certo, l’Italia da mesi inviava alert all’antiterrorismo di Berlino sulla pericolosità del ragazzo. Dopo l’attentato del 19 dicembre, tutte le polizie europee erano in possesso dei suoi dati antropometrici, anche delle sue impronte digitali. Ma Amri avrebbe tentato lo stesso di riciclarsi e reimmettersi nel “mercato” del jihadismo. Si sarebbe chiuso il cerchio. Entrato in Europa da Lampedusa nel 2011, sarebbe “riapparso” nuovamente con gli sbarchi sulla costa est della Sicilia. Confondersi con l’ondata prossima ventura di migranti appare una missione al limite dell’ impossibile. Ma quel jihadista aveva dimostrato di sapersi muovere in clandestinità e bucare ogni controllo, attraversando in lungo e largo l’Europa, prima dell’appuntamento con la morte a Sesto San Giovanni.