“Non presto il consenso all’interrogatorio”. L’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino nell’aula bunker dell’Ucciardone, dove si celebra il processo sulla trattativa Stato-mafia, rifiuta di essere interrogato ma decide di fare lunghe dichiarazioni spontanee.
È una difesa a tutto campo, che parte dalla ricostruzione di un suo ruolo istituzionale nella lotta alla mafia, l’intervento che l’ex ministro imputato di falsa testimonianza. Ma la sua autodifesa non si limita al tentativo di smontare il capo di imputazione, ma rilancia riaffermando quanto fatto durante una vita in politica contro il crimine organizzato. L’ex ministro che sta leggendo un intervento di 22 pagine, ha rifiutato il consenso a farsi interrogare dai pm, optando per le dichiarazioni spontanee. Nel suo discorso non mancano “frecciate” all’ex ministro socialista Claudio Martelli: è proprio dal contrasto con quanto dichiarato dall’ex guardasigilli che iniziano i suoi guai giudiziari nell’inchiesta sulla trattativa.
Presente anche un cenno all’incontro, dell’1 luglio del ’92, giorno dell’insediamento al Viminale, col giudice Paolo Borsellino. “Non ho mai escluso di averlo salutato – ha detto Mancino – su quell’episodio sono state fatte solo subdole insinuazioni“.
Sul super-testimone Massimo Ciancimino, finito di recente in carcere, Mancino dice che è inattendibile. Lo dicono anche diverse Procure. E davanti alla commissione Antimafia l’ha detto anche l’ex procuratore di Palermo Francesco Messineo. È dedicata alla scarsa credibilità di Massimo Ciancimino, teste e imputato al processo sulla trattativa Stato-mafia, l’ultima parte delle dichiarazioni spontanee rese dall’ex ministro. Mancino ha ricordato le alterne vicende giudiziarie del supertestimone Ciancimino, al momento detenuto e sotto processo per calunnia, e le tante menzogne da lui dette, ad esempio sul misterioso personaggio dei Servizi segreti che avrebbe fatto da garante istituzionale della trattativa e che non è mai stato identificato. L’ex ministro ha anche sostenuto di aver denunciato per calunnia Ciancimino, ma che le sue denunce non hanno avuto alcun esito in Procura.
E ancora: “Nicolò Amato, ex capo del Dap, era contrario al 41 bis: propose, infatti, con lettera indirizzata al ministro Conso la revoca o la non proroga alla scadenza. Qualche anno dopo, letti i giornali, diventò un sostenitore del carcere duro – ha aggiunto Mancino – quando la parola e la mente, secondo la convenienza, si adeguano”. Amato, ha ricordato Mancino, dopo le stragi del ’92 non firmò nessun decreto di assegnazione di detenuti al carcere duro. Secondo la tesi dell’accusa, invece, Amato sarebbe stato cacciato dal Dap proprio per il suo rigore sul 41 bis che cozzava con la volontà dello Stato di ammorbidire la linea contro i clan dopo l’avvio della trattativa.
“Confermando la mia assoluta estraneità ai fatti, resto fiducioso avanti a voi chiamati a giudicarmi”. Si concludono così le lunghe dichiarazioni spontanee rese dall’ex ministro Dc.