Ormai è un must to talk: “mai con Cuffaro”. Un identificativo comune a tutto l’arco dei partiti che si apprestano a correre per le prossime elezioni, amministrative o comunali.
Il partito del “noi mai con Cuffaro” è affollato, trasversale, onnipresente, ha un ufficio marketing sempre attivo. Da Matteo Salvini, al Pd, alla consigliera comunale di sinistra che lascia il candidato Ferrandelli, fotomontato sui social dai suoi detrattori come “Cuffarelli“.
Anche se i sondaggi non fanno stime, lo schieramento anticuffariano è il primo tra tutti e proprio questo preoccupa: il fatto che una semplice negazione sia per molti un piano su cui comunicare un’ identità, per sentirsi legittimamente in vita in un mondo politico dove volano stracci. Legittimati a non essere.
Quando l’ex governatore disse sulle colonne del Corriere della Sera che andava fatto un governo della Regione per non lasciare la vittoria al M5S, lasciando voce al suo naturale talento politico che si permuta con la predisposizione al compromesso, tutti, proprio tutti, hanno detto che no, proprio no, con Cuffaro non ci stanno.
Peccato che l’ex governatore è interdetto dai pubblici uffici a vita e quindi, non aveva proposto nulla a nessuno. Sia pure ufficialmente. Eppure, tutti hanno reagito come se lo avesse fatto.
Era solo un’idea che ha dato l’occasione un po’ a tutti i “moderati” di esistere, tirando fuori la propria pseudo identità negazionista. Di costruire un fantoccio polemico sulla scia del quale apparire per un po’. La sua idea sarebbe dovuta venire in mente a qualche sedicente politico di talento, e invece no. Perché il mercato a basso costo non lo richiede. È più semplice attenersi alla cinica legge del tutti contro uno che non lascia spazio al dissenso, al ragionamento, alla diversità e quindi allo studio, all’ascolto, ai programmi e alla costruzione di un’idea non semplicistica della società.
Va bene essere solo contro. Contro Cuffaro, contro i cannoli, contro la mafia, contro le pensioni d’oro, contro i vitalizi dei parlamentari. Ma essere contro è antipolitica. E la politica vera? Quella, invece, dov’è? Mentre le forze nate come populiste cercano di recuperare il loro congenito gap, studiando sui programmi e cercando spazi di confronto, i partiti tradizionali stanno lì a testimoniare che siamo in una regione, come in un paese, sempre più giustizialista, che non ha il coraggio – né troppa voglia – di scommettere sulle proprie aspettative.
Vanno lasciati perdere i vecchi totem e deve essere corretta sul biglietto da visita di chi corre in una competizione per guidare la città o la Regione la scritta “mai con Cuffaro” o con altri, magari sostituendola con un’idea e con un progetto. Insomma, con qualcosa che parli, possibilmente, di politica.