Blitz dei Carabinieri del Ros e del Comando provinciale di Trapani nei confronti della rete di fiancheggiatori del super boss latitante Matteo Messina Denaro.
Quattordici i provvedimenti di fermo, emessi dalla procura distrettuale antimafia di Palermo e in corso di esecuzione dall’alba, a carico di altrettante persone indagate per associazione mafiosa, estorsione, detenzione illegale di armi e altri reati aggravati dalle finalità mafiose.
Al centro delle indagini del Ros la cosca mafiosa di Marsala, di cui sono stati delineati gli assetti e le gerarchie. Sono state documentate anche le tensioni interne alla ‘famiglia’ per la spartizione delle risorse finanziarie derivanti dalle attività illecite e l’intervento pacificatorio – nel 2015 – dello stesso Messina Denaro.
In questo contesto gli accertamenti hanno fornito “inediti e importanti elementi, per l’epoca – sottolineano gli investigatori – riguardanti l’operatività e la possibile periodica presenza del latitante nella Sicilia occidentale”.
“L’indagine conferma l’unitarietà di Cosa nostra e la permanenza delle regole gerarchiche al suo interno”. Lo ha detto il colonnello Roberto Pugnetti, vice comandante del Ros alla conferenza stampa tenutasi al comando provinciale dei carabinieri di Trapani per illustrare l’operazione antimafia che ha portato nella notte al fermo di 14 persone ritenute appartenenti al mandamento di Mazara del Vallo.
L’ufficiale ha ribadito che alla fine del 2014, il boss latitante Matteo Messina Denaro “sembrerebbe essere intervenuto per esternare disappunto” per le frizioni sorte in seno al sodalizio mafioso per la nomina di capodecina di Strasatti e Petrosino. Frizioni che il boss avrebbero potuto “mettere in pericolo l’intera struttura”.
Gli inquirenti hanno sottolineato che oggi il business di Cosa Nostra continuano ad essere gli appalti pubblici. Emerse dalla indagini contatti, per interessi comuni, tra le famiglie di Mazara, Trapani ed Alcamo con quelle di San Giuseppe Jato e Belmonte Mezzagno.