Altro che business dell’immigrazione! Molte cooperative siciliane che ospitano nelle proprie strutture minori stranieri non accompagnati (msna) rischiano il fallimento. Il problema riguarda in particolare la Sicilia visto che essa funge da principale porta d’ingresso dei migranti per l’Europa. Nell’Isola vengono accolti circa 5 mila msna, più del 50% di quelli presenti in tutta Italia, per i quali lo Stato trasferisce un contributo economico non sufficiente a coprire le spese. La retta, secondo la legge, dovrebbe essere integrata dalla Regione e dai Comuni, che però con i bilanci al collasso si limitano a fare spallucce.
Un intero settore del privato sociale è in ginocchio. Secondo i dati ufficiali pubblicati sul sito dall’Assessorato regionale alla famiglia e alle politiche sociali, aggiornati a febbraio del 2017, in Sicilia sono state censite 39 strutture di secondo livello, ovvero quelle che possono ospitare solo msna, e 385 comunità alloggio minori, che ospitano sia minori italiani che stranieri. Ognuna di esse ha in media in organico 7 unità di personale a tempo pieno e 5 unità di personale a convenzione. Sono, quindi, 2.695 posti di lavoro a tempo pieno e 1.925 professionisti con partita iva che lavorano in regime di convenzione.
Si tratta di una polveriera sociale ed occupazionale che rischia di esplodere da un momento all’altro. La situazione si trascina ormai da tempo ed è diventata insostenibile, tanto che i gestori delle comunità da diversi mesi sono sul piede di guerra. In rotta con le principali associazioni di categoria, colpevoli secondo loro di non riuscire a rappresentare le loro istanze, i titolari di circa 200 strutture si sono riuniti più volte per organizzare la protesta. L’ultimo incontro si è tenuto nella sede del Consiglio comunale di Villarosa, in provincia di Enna, dove rappresentanti di otto province (mancava solo Messina) hanno avviato il percorso al fine di costituirsi in associazione per dialogare direttamente con le istituzioni e tentare di risolvere la questione, a tutela dei minori ospitati e dei lavoratori. L’associazione si chiamerà C.R.O.A.M. Sicilia (Coordinamento Regionale Operatori Assistenza Minori Sicilia) e la sua costituzione formale è prevista per il 19 maggio.
Impossibile andare avanti a queste condizioni. Per comprendere bene la questione bisogna conoscere il funzionamento del sistema. Le comunità alloggio per minori nate in Italia per ospitare i minori italiani vittime di violenza o povertà, con l’aumento dei flussi migratori, sono state individuate dallo Stato per accogliere le migliaia di minori che ormai quasi giornalmente arrivano sulle nostre coste. Un dovere che al di là dell’aspatto morale deriva dalla Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia firmata a New York nel 1989 e ratificata dall’Italia nel 1991, secondo la quale: “Tutti i bambini del mondo hanno gli stessi diritti, non ha importanza chi siano i genitori. Quale sia il colore della pelle, né il sesso, né la religione, non ha importanza che lingua parlino, né se siano ricchi o poveri“. Inoltre l’articolo 3 della stessa Convenzione sancisce il principio “best interest of the child“, ovvero del miglior interesse per i bambini.
Da qui discende tutta la legislazione nazionale e regionale sul tema, che però rispetto a quanto stabilito per i minori italiani presenta due grossi limiti che di fatto creano disparità e discriminazioni. Il primo riguarda l’aspetto economico, mentre il secondo attiene all’integrazione e al mancato rispetto del principio di uguaglianza.
Andiamo all’aspetto economico. La retta giornaliera prevista ammonta a 76 euro giornalieri sia per i minori italiani che per quelli stranieri. C’è però una differenza sostanziale che di fatto nega alle comunità alloggio che ospitano i msna l’intero importo. La disparità si configura nella misura in cui il Ministero dell’Interno decide di contribuire con una somma di circa 45 euro al pagamento della retta, scaricando sulle Regioni e sui Comuni il finanziamento della parte restante attraverso una quota di compartecipazione. Un salasso per la Regione Siciliana e per i suoi Comuni. Tra quest’ultimi si contano sulle punta di una mano quelli che decidono di mettere mani a portafoglio. La stragrande maggioranza si limita a trasferire quanto ricevuto dal Ministero, mentre altri addirittura sfruttano il passaggio di queste risorse dai propri bilanci, ritardando i pagamenti, per le loro esigenze finanziarie.
Di fronte a tutto questo i gestori delle strutture hanno le mani legate. Il ricorso alla giustizia amministrativa non sortisce quasi mai gli effetti sperati, né le comunità possono permettersi di dimettere i minori dalle loro strutture. Per legge, infatti, sono obbligati ad accoglierli poiché svolgono un servizio di pronto soccorso sociale. Motivo per cui coloro che dovessero opporsi al loro inserimento potrebbero essere denunciati per interruzione di pubblico servizio.
Nel frattempo secondo i gestori la Regione non solo non ha riconosciuto le difficoltà ravvisate dalle strutture, ma addirittura le ha esasperate. Nell’ambito della sua attività regolativa l’Assessorato alla famiglia e alle politiche sociali avrebbe ribadito la congruenza del solo contributo statale con i costi sostenuti dalle comunità per offrire il servizio. Inoltre, ha introdotto la presenza obbligatoria di nuove figure professionali senza tuttavia prevedere un incremento della dotazione economica.
Come se non bastasse con un provvedimento preso nel gennaio 2016 ha obbligato le comunità alloggio a scegliere se ospitare esclusivamente minori italiani o minori stranieri. E qui arriviamo al secondo limite. “Tale disposizione – dichiarano i rappresentanti delle strutture – fa venir meno il presupposto dell’integrazione trasformando le comunità di accoglienza per i msna in dei veri e propri ghetti. Così facendo si compie di fatto una discriminazione tra minori di serie A e minori di serie B che va contro le direttive internazionali, comunitarie e nazionali”.
Se le cose dovessero rimanere invariate le comunità sarebbero costrette a chiudere i battenti. Un’ipotesi nefasta sia perchè si verrebbe a creare un vero e proprio vuoto che impedirebbe di fatto di garantire i diritti e la tutela dei minori, sia perchè farebbe perdere il lavoro a migliaia di persone che oggi tra mille difficoltà tengono in piedi il sistema dell’accoglienza dei più fragili e indifesi.