Il sociologo Edward C. Banfield scrisse nel 1958 il saggio “The Moral Basis of a Backward Society” (Le basi morali di una società arretrata), nel quale, studiando alcuni paesi del Sud Italia, introdusse il concetto del “familismo amorale”. Si tratta di quella condotta etica tipicamente meridionale, che tende a privilegiare il benessere del proprio clan familiare a discapito dell’interesse di tutta la comunità. Secondo l’autore il familismo amorale sarebbe la principale causa dell’arretratezza sociale e del sottosviluppo economico del Mezzogiorno.
Sono passati 60 anni e l’argomento è ancora attuale, se leggiamo la ricerca pubblicata sul Corriere della Sera di Stefano Allesina e Jacopo Grilli. I due, ricercatori dell’Università di Chicago, hanno pubblicato uno studio, in prosecuzione di un lavoro analogo del 2011, nel quale valutano l’incidenza del nepotismo nell’Università italiana.
Analizzando con metodi statistici i cognomi di 133 mila ricercatori italiani, francesi ed americani, dimostrano che il fenomeno, seppure in calo, in Italia è più marcato rispetto ai nostri cugini francesi o agli Stati Uniti. Ed è presente in misura altamente significativa soprattutto in Puglia, Campania e Sicilia: è in queste regioni che i professori con i cognomi uguali ricorrono di più.
Che l’Università italiana dei “baroni” fosse la culla del nepotismo, che non è solo quello familiare, è cosa risaputa; anche se il fenomeno è stato mitigato, ma non eliminato a quanto pare, dalla legge Gelmini che rende più difficile l’assunzione di un parente. Ma questa patologia della selezione non è ristretta all’ambito accademico, ė invece diffusa a tutti i livelli del nostro contesto sociale. E si sviluppa da un humus culturale nel quale è totalmente assente la cultura del “merito”.
Intendo dire che se il familismo prospera e regge nel tempo è anche perché rappresenta una rete di protezione, contro una competizione che mai diventa meritocratica. Poiché in Italia regna la sfiducia nel merito, e la selezione difficilmente sarà basata su valori oggettivi, allora risulta meno “amorale” il familismo agli occhi di chi lo esercita. La vera questione, la madre di tutte le battaglie per far funzionare questo Paese e per dare pari opportunità a tutti i suoi cittadini, è quella di affermare finalmente il valore assoluto e prioritario del merito.