È illuminante l’esortazione che il professor Pasquale Russo rivolse a Jezzi Philip Laroma, il candidato al ruolo di professore associato, unanimemente riconosciuto il più meritevole, al quale si chiedeva di rinunciare per favorire il raccomandato di turno: “smetti di fare l’inglese, fai l’italiano!”.
Perché, e non è una novità, in Italia il merito non è considerato un criterio valido per le procedure concorsuali. Non è l’Inghilterra infatti.
E se la mortificazione della selezione meritocratica è deprecabile in generale, lo è in maggior misura nel sistema universitario, il luogo dove si dovrebbero valutare la qualità delle competenze dei giovani del nostro Paese.
Ma l’ultimo scandalo dei concorsi universitari truccati non ci sorprende, che l’Università italiana dei “baroni” fosse la culla del nepotismo è cosa risaputa.
Non più di 2 mesi fa si poteva leggere sul Corriere della Sera la ricerca di Stefano Allesina e Jacopo Grilli. I due, ricercatori dell’Università di Chicago, hanno pubblicato uno studio, in prosecuzione di un lavoro analogo del 2011, nel quale si valutava l’incidenza del nepotismo nell’Università italiana.
Analizzando con metodi statistici i cognomi di 133 mila ricercatori italiani, francesi ed americani, si dimostra che il fenomeno, in Italia è particolarmente presente ed in misura maggiore rispetto ai nostri cugini francesi o agli Stati Uniti.
E lo si può riscontrare soprattutto in Puglia, Campania e Sicilia: è in queste regioni, infatti, che i professori con i cognomi uguali ricorrono di più.
Anche se in questo ultimo episodio, i “Baroni imbroglioni” risiedono in tutte le parti del Paese. Evidentemente il “familismo amorale” descritto dal sociologo Edward C. Banfield nel 1958 quale condotta etica tipicamente meridionale, che tende a privilegiare il benessere del proprio clan familiare a discapito dell’interesse di tutta la comunità, si è dimostrata una “virtù” diffusa a livello nazionale.
Il sistema di cooptazione nel mondo accademico è malato e lo è nonostante l’introduzione nella legge Gelmini di norme che avrebbero dovuto impedire condotte scorrette. Ma evidentemente non è bastato. È chiaro che è soprattutto all’interno del mondo accademico che si devono produrre i necessari anticorpi contro la patologia del sistema, ed è per questo motivo che ci attendiamo una ferma condanna della vicenda da parte dei Rettori delle Università siciliane.