Dal 3 Luglio 2021 con il recepimento della Direttiva SUP (Single-Use Plastics), in tutti i Paesi dell’Unione Europea, saranno vietati diversi articoli monouso in plastica. Sembra che le bioplastiche possano essere una valida soluzione. Tuttavia, solo l’Italia sta recependo la SUP derogando su questo punto mentre, nel resto d’Europa le bioplastiche sono assolutamente paragonate alla plastica tradizionale.
Oltre a limitare i danni dovuti all’impiego eccessivo di materiali plastici tradizionali sull’ambiente, un’altra possibilità è quella di scommettere sul riciclo e in particolare, sulla plastica compostabile. Le norme europee contro il monouso e gli investimenti sull’economia circolare previsti nel PNRR, il Piano Nazionale Ripresa e Resilienza, dovrebbero servire ad accelerare la transizione verso un modello economico più ecosostenibile.
Tuttavia, da quando questo percorso è stato avviato, sono cambiate molte cose. Una su tutte? La pandemia da COVID-19. Non è un mistero che i materiali usa-e-getta hanno rappresentato, e continuino a rappresentare, soluzioni in grado di garantire sicurezza sanitaria, economicità, disponibilità e sostenibilità ambientale.
La questione è complessa, investe tematiche parimenti importanti (ambiente, lavoro, sviluppo) e in più, va affrontata in tempi brevissimi. Lo scorso 27 maggio, in risposta a un’interrogazione parlamentare in Senato, il Ministro della Transizione Ecologica, Roberto Cingolani, ha dichiarato che “nel decreto legislativo predisposto dal Governo, è prevista un’apposita disposizione per immettere sul mercato, prodotti monouso realizzati in plastica biodegradabile e compostabile certificata, conforme allo standard europeo UNI EN 13432. Inoltre, per il ministro, le plastiche biodegradabili e compostabili, in un’ottica di transizione verso la gestione circolare della plastica, dovrebbero essere considerate come alternative sostenibili alle plastiche standard”. Per il Governo insomma, ci sono ancora molti punti da chiarire e, l’interlocuzione con la Commissione europea, è tutt’altro che chiusa.
Ma cosa sono le bioplastiche? Perché la domanda di questi materiali è in aumento? Quali test devono superare? Cosa hanno a che fare con la compostabilità? Che certificazioni occorrono? Le aziende italiane, a che punto sono?
Dal 2016 (prima della famosa direttiva SUP), alcune realtà imprenditoriali del settore, avevano già cominciato a sviluppare materiali alternativi alla plastica e prodotti pilota biodegradabili e compostabili. “La compostabilità – dice Pasquale Busso, Responsabile Controllo Qualità Bibo Italia S.p.A. – deve avere tempi di disgregazione brevi. In generale, parlando di compostaggio industriale, si tratta di un periodo tra i 3 e i 6 mesi. La gestione del riconoscimento deve tenere conto di questa tempistica e del superamento dei test di eco tossicità. A rilasciare le dovute certificazioni, è un ente terzo, nel caso di Bibo Italia, si tratta di OK COMPOST del Gruppo TÜV AUSTRIA”.
Le bioplastiche sono catene polimeriche a base carbonio provenienti da fonti rinnovabili di origine prevalentemente vegetale (es. canna da zucchero, amido di mais o barbabietola), non destinate al consumo alimentare. Bibo Italia S.p.A produce all’interno dei suoi stabilimenti la gamma di prodotti a marchio Natural Bibo che vende. E’ questa la principale differenza con la plastica tradizionale che invece parte da componenti di origine fossile. In secondo luogo, a caratterizzare questo tipo di lavorati c’è un elemento, presente in quasi tutte le tipologie di prodotti presenti sul mercato: l’acido polilattico (PLA). Più alta è la percentuale di carbonio da fonte rinnovabile, più il prodotto compostabile è caratterizzato da un elevato grado di BioBased. La materia prima arriva sotto forma di polvere che gli impianti di produzione trasformano in piccoli granuli e poi, dopo un’ulteriore lavorazione, sfruttando appunto la plasticità del materiale, in diverse forme a seconda delle esigenze.
Per il consumatore poi, è importantissima la chiarezza delle informazioni contenute in etichetta. Sulla confezione, è possibile trovare delle istruzioni chiare sul fine vita del prodotto e del packaging per agevolare il corretto conferimento. Viene inoltre suggerito che, se un prodotto è biodegradabile e compostabile, può essere inserito nella raccolta dell’organico come i prodotti della linea Natural Bibo.
Molte aziende come Bibo Italia sono impegnate nel rinnovo di buona parte degli impianti produttivi. L’obiettivo, è migliorare le performance di prodotti innovativi, ridurre gli sprechi, rispettare l’ambiente e mantenere alti i livelli occupazionali rispondendo al meglio alle sfide e alle opportunità di una transizione ecologica ormai alle porte.