Lo scrive la Commissione ispettiva del Dap, presieduta dall’ex procuratore Sergio Lari, nella relazione finale sulle rivolte nelle carceri avvenuta nel marzo del 2020.
“Le radici delle rivolte hanno attecchito in un terreno reso fertile dalla insoddisfazione della popolazione detenuta per la poco dignitosa qualità della vita penitenziaria” e “ad avviso della Commissione la scintilla che ha innescato le rivolte è stata, senza alcun dubbio, l’emanazione del decreto legge numero 11 dell’8 marzo 2020 con cui sono state introdotte drastiche limitazioni alla vita sociale dei detenuti, prima fra tutte la sospensione dei colloqui in presenza con i familiari”.
Secondo quanto emerge dal documento la sospensione dei colloqui “ha comportato per i detenuti l’impossibilità di ricevere i generi di conforto che solitamente i familiari portano in quelle occasioni ed ha fatto sorgere il timore di non potere fruire dei video colloqui in sostituzione di quelli in presenza a causa delle note carenze informatiche e strutturali degli istituti penitenziari. Inoltre, la misura è apparsa, a molti detenuti, poco convincente sul rilievo che il virus, favorito dal sovraffollamento, avrebbe comunque potuto diffondersi all’interno degli istituti tramite la polizia penitenziaria, gli operatori sanitari e gli altri soggetti che normalmente accedono alle strutture penitenziarie per lavoro”.
La Commissione afferma, infine, che “non sono state acquisite prove utili a dimostrare che dietro le rivolte vi sia stata la regia della criminalità organizzata, di altre organizzazioni di matrice anarchica o insurrezionalista”.
A marzo 2020, tra i tanti istituti penitenziari in rivolta in piena pandemia, c’erano anche quelli siciliani.
A Palermo, nel carcere Pagliarelli i detenuti avevano preso le chiavi a uno degli agenti della polizia penitenziaria e avevano occupato un’intera ala. Anche l’agente era stato trattenuto. Proteste anche nel carcere Ucciardone dove i detenuti urlavano battendo oggetti e gettavano carta e lenzuola date alle fiamme dalle finestre delle celle.
A Siracusa i detenuti avevano dato alle fiamme le lenzuola danneggiando arredi nel blocco 50 del carcere di Cavadonna. Circa 150 persone parteciparono alla protesta bruciando suppellettili e utilizzando le brande per sfondare alcuni cancelli. Distrutto l’impianto di videosorveglianza e danneggiata una delle due cucine. .
A Trapani, una trentina di detenuti riuscì a salire sui tetti nel carcere trapanese “Cerulli” protestando e dando fuoco a materassi.
Altre manifestazioni di protesta furono registrate anche nel carcere Malaspina a Caltanissetta, nel “Luigi Bodenza” a Enna, e nella casa circondariale Gazzi a Messina.