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Post-pandemia, analisi di mercato per i vini italiani: in calo la Sicilia

venerdì 9 Luglio 2021

L’Area Studi Mediobanca, l’Ufficio Studi di Sace e Ipsos hanno reso nota una prima analisi di mercato, interna ed internazionale, per il  comparto vino & spirits italiano, dedicata allo studio delle dinamiche socio-culturali di consumo.

La presentazione del report congiunto è stato un momento di incontro tra Istituzioni, aziende della filiera, produttori e rappresentanti del settore. Ad aprire l’evento di confronto pubblico sono stati gli attori dello studio di settore in questione, Gabriele Barbaresco, Direttore Area Studi di Mediobanca, Alessandro Terzulli, Chief Economist di SACE ed Enzo Risso, Direttore Scientifico di Ipsos.

Tra i relatori dell’evento anche Marco Magnocavallo, CEO e Co-Founder di Tannico; Roberto Castagner, CEO Acquavite S.p.A.; Alessandro Mutinelli, Chairman and CEO IWB; Luca Giavi, Direttore Generale di Consorzio di Tutela Prosecco DOC; Nadia Zenato, Owner Zenato Azienda vitivinicola; Giovanni Mantovani, Direttore Generale Veronafiere S.p.A.; Gianni Bruno, Exhibition Manager Wine & Food Vinitaly; Simonetta Acri, Chief Mid-Market Officer di SACE.

Nel corso del dibattito sono stati approfonditi i principali risultati dell’indagine che hanno messo in evidenza l’andamento economico delle maggiori industrie vinicole della Penisola per l’anno 2020, le quali hanno registrato una contrazione di fatturato del 4,1% (-6,3% il mercato interno, -1,9% l’estero), soprattutto a causa della pandemia da Covid 19 che ha impedito le attività di import ed export.

Per l’ebit margin si tratta di un lieve calo, con una regressione del 5,8%, rispetto al 6,2% del 2019. L’incidenza del risultato netto sul fatturato ha performato bene, con una leggera variazione dal 4,2% al 4,1%. Ad avere la peggio i vini frizzanti (-6,7%) dei vini fermi (-3,5%). Le cooperative hanno contenuto la flessione al 2%. Il canale GDO ha visto salire l’indice al 38% rispetto al 35,3% del 2019 (a valore è cresciuto del +2,3%), quello Ho.Re.Ca. si contrae dal 17,9% al 13,4% (-32,7%), mentre wine bar ed enoteche passano dal 7% al 6,7% (-21,5%).

Le attività online hanno avuto successo proprio in piena emergenza sanitaria. E- commerce del vino è stato il vero boom nell’anno della pandemia, dato che l’e-commerce di proprietà consente ai consumatori di accedere direttamente al viticoltore : +74,9% le vendite sui portali web di proprietà, +435% per le piattaforme online specializzate, +747% i marketplace generalisti. Nel 2020 gli investimenti digitali dei maggiori produttori di vino sono aumentati del 55,8%, a fronte di un calo del 14,3% degli investimenti complessivi e del 13,4% della spesa pubblicitaria. Le imprese con fatturato 2020 in aumento hanno venduto vino base (meno di 5 euro) per il 70,8% del loro fatturato; quota che scende al 52,6% all’interno del gruppo di imprese con vendite in calo. Ma lo spostamento verso segmenti più alti appare solo rinviato a quando si assesteranno gli stili di consumo post pandemici.

La pandemia ha inciso sul modus di consumo degli amanti del vino, inevitabilmente l’evoluzione ha cambiato alcune abitudini. La GDO rimane il canale di accesso prediletto dei consumatori per l’acquisto di vino, con una sempre maggiore ricerca di qualità, specificità e unicità. E l’attenzione per il buon gusto è confermato dalla percentuale di persone che ha iniziato a frequentare enoteche, cantine e negozi specializzati. L’acquisto sul web è la rivoluzione, perché l’e-commerce di proprietà consente alle persone di accedere direttamente al viticoltore.

Dopo il Covid, gli imprenditori rivolgono uno sguardo al 2021, auspicando una crescita del 3,5%, che arriverebbe al 4,6% grazie all’export. Per le maggiori società di spirits, i dati prevedono un anno con vendite in crescita del 5,4% e del 4% per le esportazioni.

La situazione del settore Vino e Spiritnel che si prospetta nel mercato internazionale rivela che il consumo maggiore delle bevande è appannaggio dei Paesi di matrice anglofona, come Australia, Gran Bretagna e Usa, con un rito del bere lievemente accennato in alcuni Paesi dell’Est europeo (Serbia e Polonia, con la Russia più arretrata) e del Nord del mondo (Canada e Svezia). La Cina presenta un mercato aperto e tollerante. La core Europe appare ben allineata in posizione intermedia con Germania, Francia e Italia che mostrano livelli simili di accettazione. Più ostile l’atteggiamento nel Sud e Sud Est del mondo, con la sola importante eccezione del Sud Africa. In generale la propensione al consumo di vino è superiore a quello degli spirits.

Se poi parliamo di Export Made in Italy, i produttori di vino attendono il biennio 2021-2022 per l’incremento del consumo del 3,8% l’ i principali mercati nord-europei e nord americani. Discorso a parte per il Regno Unito: crescita del 2,4% l’anno, ma le prospettive si complicano per via degli sviluppi futuri post Brexit. Opportunità possono arrivare da mercati già noti al vino italiano: Canada e Giappone segnano un consumo atteso in forte crescita (+5,9% annuo per entrambi). Ma è la Cina a mostrare uno dei maggiori potenziali con un +6,3% annuo nel biennio 2021-22.

Le esportazioni italiane di vini e spirits valgono il 30% delle nostre vendite di alimenti e bevande oltreconfine e ammontano a 7,8 miliardi di euro nel 2020. Il comparto proviene da una crescita pluriennale: +6,3% medio annuo per i vini nel periodo 2010-19, che sale addirittura al +9,7% per gli spirits. Il 2020 ha certamente generato un decremento: l’export di vini si è contratto del 2,3%, quello di spirits del 6,8%. Nel 2020 l’export di vino italiano vale 6,3 miliardi di euro e si consuma sulle tavole statunitensi (23,1% del totale), tedesche (17,1%) e britanniche (11,4%). Il 2020 ha consegnato variazioni differenziate: le nostre vendite sono in flessione negli Stati Uniti (-5,6%) e in UK (-6,4%), mentre si è mossa in controtendenza la Germania (+3,9%).

E se poi vogliamo geolocalizzare, ciascuna regione ha peculiarità territoriali che si riflettono in numerosità dei prodotti realizzati, venduti ed esportati, con un fil rouge che li contraddistingue tutti: l’alta qualità dei vini, siano essi rossi, bianchi, mossi o fermi, e la presenza di certificazioni Dop e Igp. L’analisi dell’export territoriale del 2020 mostra come la principale regione
esportatrice di vini sia il Veneto con il 35,5% del totale delle vendite oltreconfine, il Piemonte con il 17,2%. La Toscana, terza regione, rappresenta il 15,5% dell’export nazionale di vino.

Altre zone d’Italia, invece, hanno quote di export inferiori: ad esempio la Sicilia conta il 1,9%, la regione con il maggiore svantaggio della quantità di vino prodotta rispetto al proprio valore.  Fra le altre regioni il calo più consistente è dell’Umbria (-24,2%), seguita dalla Valle d’Aosta (-21,9%), dalla Sardegna (-18,8%) e dalle Marche (-14,5%).

La pandemia ha colpito pesantemente gli spumanti (-6,9%) anche perché gli eventi conviviali sono stati depennati per contenere la diffusione del contagio. Più modesto l’export italiano generato dal comparto degli spirits, che vale 1,5 miliardi di euro e ha nell’Europa la destinazione privilegiata (60,4% del totale) e due mercati di sbocco preferenziali, Stati Uniti e Germania, che fanno il 40% del totale. Nel 2020 lo sviluppo del mercato statunitense (+21,5%) ne ha fatto il primo approdo per le vendite oltreconfine di spirits italiane, scalzando dal primo gradino del podio la Germania (+3,5%).

 

 

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