Ti ritrovi in un Paese straniero, da solo, senza la tua famiglia, i tuoi amici. E finisci all’ospedale per una miocardiopatia ischemica. Non riesci a comunicare con i medici, gli infermieri, perché nessuno parla la tua lingua. E tu conosci solo quella. E, così, provi a comunicare a gesti. Ma non basta. Tutto questo per cinque lunghissimi giorni. Poi, esci e, nel frattempo, il medico di base che ti è stato assegnato quando hai ottenuto il permesso di soggiorno non ne vuole sapere di te. Perché secondo lei sono i medici che hanno prescritto accertamenti e prescrizioni terapeutiche che devono continuare a seguirti anche fuori dall’ospedale. E minaccia di ricusarti, di cancellarti dall’elenco dei suoi pazienti. Ma tu le medicine devi prenderle. Per non morire.
Non è un brutto sogno. È successo per davvero. E non dall’altra parte del mondo. Ci troviamo a Palermo. All’ospedale Civico. Dove è mancato il mediatore culturale che potesse aiutare un uomo originario del Bangladesh. Disperata, la figlia che vive a Londra ha contattato l’unica persona di cui si ricordava quando viveva in Sicilia. E, per fortuna, quella persona era un angelo e si è presa la briga di venire a trovarlo in ospedale e, almeno, di fargli avere un pigiama e qualche altro indumento per non farlo restare con il camice di carta. E di riportarlo a casa. Neanche lei, però, parla la sua lingua.
Alla farmacia di via Roma, altro colpo di fortuna. Il titolare conosceva un ragazzo del Bangladesh, che si è messo a disposizione per spiegare come e quando l’uomo dovesse prendere le sue medicine.
Incubo finito? No: “Venerdì 21 ottobre, nonostante le sue precarie condizioni di salute – racconta Rosalba, che in tutti questi giorni ha seguito la vicenda –, il signor Alkaj si è recato nello studio del suo medico di base, per avere prescritte le medicine indicate nella relazione dei sanitari dell’ospedale Civico. La dottoressa ha ritirato la relazione, ma non ha prescritto le medicine richieste, nonostante la gravità del caso, rimandandolo al lunedì successivo. E si è anche rifiutata di parlare al telefono con me. Avrei voluto solo sensibilizzarla sulla delicatezza ed urgenza del caso – sottolinea –. Lunedì 24 ho accompagnato Alkaj per il ritiro delle prescrizioni. Lì la dottoressa mi ha detto che avrebbe ricusato il paziente”.
Cosa che, a quanto pare, non ha ancora fatto. Il problema è che il signor Alkaj domenica prossima tornerà in Bangladesh per due mesi. E deve avere con sé le medicine almeno per questi primi giorni. Farmaci che nessuno, al momento, gli può – o gli vuole – prescrivere.
“Un povero paziente può essere messo in mezzo per le diatribe tra medici di base e medici ospedalieri? – si chiede Rosalba – Così viene negato il diritto alla salute del povero malcapitato, che, oltretutto, non capisce una parola di italiano e non sa quello che deve fare. E poi si meravigliano se le persone non si curano”, conclude la sua riflessione.
Intanto, il signor Alkaj, dopo aver rivisto parte della sua famiglia nel suo Paese d’origine, ha già deciso di tornare a Palermo. Anche se Palermo non lo comprende.