Nel luglio 2021, l’Ars ha approvato in via di interpretazione autentica il principio secondo cui nelle numerose aree sottoposte a vincolo paesaggistico (a titolo di esempio: quelle dell’intero arcipelago di Lipari – Isole Eolie, del comprensorio di Taormina-Naxos e, a Messina, di Capo Peloro) andasse mantenuta la distinzione tra inedificabilità “assoluta” e inedificabilità “relativa”, con ciò rispettando la differenziazione temporale tra le pratiche di condono edilizio presentate nel 1985 (che ammettono la sanabilità delle opere edificate su aree sottoposte a vincolo relativo) e quelle presentate nel 2003 (che, al contrario, escludono la sanabilità delle opere edificate su aree sottoposte a qualsivoglia genere di vincolo).
Questo assunto aveva in passato trovato piena adesione da parte della giurisprudenza del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana che a tal proposito, nell’anno 2012, aveva emesso un parere illuminante, a cui erano seguite alcune Circolari dell’Assessorato regionale dei Beni culturali.
Sennonché, nel dicembre 2022 la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità della disposizione regionale del 2021, asserendo che la stessa avesse caratteri non strettamente interpretativi quanto, piuttosto, innovativi e, soprattutto, indiscriminatamente retroattivi.
L’Assessorato regionale dei Beni culturali si è immediatamente adeguato al suddetto orientamento con Circolare del 30 dicembre 2022, dando mandato alle nove Soprintendenze di operare in conseguenza.
Così, da un paio di settimane a questa parte si sta improvvisamente assistendo – a distanza di vent’anni esatti dalla scadenza del termine per la presentazione dei condoni! – all’adozione e alla conseguente notifica agli interessati, in tutta la Sicilia, di numerosissimi dinieghi di nulla osta.
Si tratta di atti interlocutori ed endoprocedimentali indirizzati al Comune territorialmente competente – che a sua volta sarà chiamato a concludere il procedimento mediante il vero e proprio rigetto della richiesta di condono edilizio – e alla Procura della Repubblica di riferimento, che tuttavia vanno immediatamente impugnati perché pregiudicano in maniera definitiva la possibilità di regolarizzare gli abusi edilizi commessi in tempi ormai a dir poco remoti.
Il diniego di nulla osta della Soprintendenza è un “atto non definitivo” e per questo non deve per forza essere subito impugnato nella onerosa e meno celere sede del TAR, potendo piuttosto richiedersi una disamina intermedia all’organo sovraordinato alle Soprintendenze, che è il Dirigente generale del Dipartimento regionale dei Beni culturali, al quale può essere indirizzato un “ricorso gerarchico”.
Il particolare vantaggio di detto strumento, oltre a non determinare l’instaurazione diretta di un vero e proprio contenzioso, è quello di poter sollevare eccezionalmente anche motivi più strettamente “di merito” oltre a quelli di legittimità.
In altre parole, l’Amministrazione regionale viene direttamente investita della cognizione di rilevanti “costi sociali”, discendenti a titolo di esempio dall’indistinta assimilazione dei vincoli relativi e assoluti di inedificabilità, dall’affidamento ingenerato nei proprietari degli immobili connotati da abusivismo alla conservazione dello status quo per effetto del decorso di un tempo tanto lungo e dalla disparità di trattamento che è venuta a crearsi per effetto dell’applicazione, all’incirca per un decennio (dal 2012 al 2021), di un orientamento più favorevole per il cittadino.
L’inoltro, per così dire, “seriale”, al suddetto Dipartimento regionale, di detti ricorsi consentirà di realizzare una peculiare class action e di responsabilizzare e sensibilizzare la Regione Siciliana alla necessità di approfondire lo stato dell’arte proponendo l’adozione dei necessari correttivi, sia normativi che amministrativi, a livello regionale e statale.
I Legali di “Publicum” – gli avvocati Antonino Criscì, Andrea Fiore e Michele Giorgio – hanno già presentato i primi ricorsi gerarchici e sono a disposizione di quanti stanno ricevendo i gravosi dinieghi per supportarli nella formalizzazione della contestazione dell’attività delle Soprintendenze, da proporsi entro il brevissimo termine di 30 giorni dalla data di notifica.