Si è conclusa a Palermo la terza edizione “Giornata del Siciliano nel Mondo”, organizzata dal CARS, un focus sulle ragioni che spingono le nuove generazioni ad abbandonare la propria terra. Non è una novità che la Sicilia, negli anni, si sia spopolata di giovani brillanti che con le valige in mano sono andati in cerca di opportunità, prima al Nord e poi, addirittura, all’estero. L’Isola, in tema di emigrazione, detiene ancora il record per la comunità estera più numerosa. Una riflessione affrontata con Paolo Machì, ospite presso gli studi de ilSicilia.it, protagonista in qualche modo di questo fenomeno sociale.
Laureatosi a Palermo alla Facoltà di Medicina, Machì lavora ormai da 2o anni in Svizzera, ed esattamente come Responsabile di Neuroradiologia Interventistica all’Ospedale Universitario di Ginevra. E ci racconta la sua esperienza e il suo punto di vista. “Tanti ragazzi e ragazze talentuosi si formano nella propria terra, poi per alcune ragioni, legate alla mancanza di spazi per i giovani nel proprio settore, si approcciano alla professione in altri Paesi. La giornata dell’emigrato, direi, è servita a far riflettere sui piani da mettere in atto – questa è la speranza – affinché tra vent’anni si rientri in Sicilia, piuttosto che rimanere fuori. Ed è compito della politica”.
Partenze che depauperano la Sicilia di menti e risorse, parliamo di giovani con un alto livello di formazione che spesso non fanno ritorno, con conseguenze rilevanti sulla composizione sociale e culturale della nostra popolazione. Poi ci sono gli affetti. “Si soffre ad andar via, poi all’estero non è facile, tutto è in salita. Consiglio ai ragazzi di lavorare ed impegnarsi per cercare di essere i migliori nel proprio campo”.
L’appello è alla politica, mettere in funzione degli strumenti che mettano fine a un deserto dal quale, necessariamente, si mette in fuga chi non si accontenta di adattarsi, o rinunciare alle proprie speranze.