Un’importante scoperta archeologica è venuta alla luce movimentando e restaurando alcuni reperti del teatro antico di Taormina custoditi nei magazzini o che giacevano sparsi per il monumento: un ritrovamento che consente di ricostruire meglio la data della grande ristrutturazione ed ampliamento del teatro che era avvenuta nel II secolo d.C. e che testimonia la cura che veniva riservata nella scelta della decorazione architettonica del complesso in età imperiale. La scoperta alza il velo sull’iscrizione di Paternus, segnalata nell’800 ma in maniera scorretta e poi addirittura ritenuta smarrita. Questa iscrizione su marmo pregiato riporta una data: il 108 d.C.
Si credeva fosse un’epigrafe in onore di Paternus, era invece una sorta di marchio di fabbrica, una scritta relativa alla gestione della cava da cui era stato estratto il blocco di pietra servito ad ornare il teatro. Si trattava, insomma, di una precisa inventariazione, con il nome dell’amministratore della cava, Paternus, e la data di estrazione del blocco di pietra che è in marmo africano, una varietà preziosissima di marmo utilizzata dai romani: il marmor luculleum.
“Dal punto di vista scientifico si tratta di una scoperta molto rilevante” spiega l’archeologo Dario Barbera, saggista e con un dottorato alla Normale di Pisa, borsista dell’Istituto Italiano per gli Studi Storici e nativo di Taormina. “È l’iscrizione più importante dell’età imperiale, l’unica che riporta una data precisa che ci consente quindi di datare meglio la grande ristrutturazione del secondo secolo. Questa scoperta andrà studiata in modo approfondito, dovrà essere pubblicata su una rivista scientifica, ma ci apre da ora una nuova prospettiva sull’inquadramento storico e cronologico” del monumento. L’iscrizione che appare sul blocco di questo prezioso marmo – una breccia cavata in Asia Minore a Teos, Smirne, e solcata da raffinatissime venature di vari colori, anche verde scuro – ci dice che questo marmo, come gli altri, evidentemente veniva prelavorato in loco per poi essere rifinito nel cantiere: questo blocco, in particolare, aveva la forma a gradini e doveva evidentemente essere poi tagliato in lastre per ornare le pareti dell’edificio scenico del teatro. Era un materiale molto prezioso, uno dei primi marmi colorati a essere usato dai romani che ereditarono dal mondo ellenistico la passione per i materiali lussuosi e variegati, spiega Barbera sottolineando anche la particolare cura che metteva la casa imperiale in questo comparto, affidando la gestione di queste cave ai liberti e i cui “preziosi prodotti dovevano essere rigidamente gestiti per essere destinati a decorare i più importanti monumenti dell’impero”.