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Bar Sicilia a Cinisi racconta Peppino Impastato col fratello Giovanni CLICCA E GUARDA IL VIDEO

domenica 3 Ottobre 2021

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Una puntata speciale al numero 170 di Bar Sicilia, che approda a Cinisi per raccontare la storia, i luoghi, la militanza e il travaglio familiare di Peppino Impastato e di Felicia Bartolotta, la mamma del giovane ucciso dalla mafia il 9 maggio del 1978. Ad accompagnare in questo percorso ideale il direttore responsabile de ilSicilia.it Manlio Melluso e il direttore editoriale Maurizio Scaglione, il fratello di Peppino Impastato, Giovanni, che ha ospitato la trasmissione nei locali della Casa Memoria dedicata a Peppino e Felicia.

Si comincia parlando dell’ultimo libro di Giovanni Impastato, “Mio fratello. Tutta una vita con Peppino”: un volume in cui viene ripercorsa tutta la vita familiare e in particolare il rapporto tra i fratelli, senza reticenze né sentimentalismi: “Questo libro non toglie nulla a tutto il lavoro che è stato fatto su Peppino, però aggiunge qualcosa: si tratta si episodi inediti, non conosciuti dal grande pubblico. C’è l’infanzia e ci sono alcuni particolari importanti. Io alcune cose le volevo portare con me, poi ci ho ripensato: tutto si deve conoscere di Peppino, soprattutto i giovani”.

Casa Memoria è tappa di una sorta di pellegrinaggio dell’antimafia, a Cinisi arrivano in tanti a conoscere la storia di Peppino Impastato e di Felicia Bartolotta: “L’emozione dei visitatori è proprio tanta, tantissima. Restano affascinati da questa storia, perché non è una storia che appartiene soltanto a noi, alla nostra famiglia, alla nostra regione o al nostro Paese. E’ una storia condivisa, che appartiene a tutti. Non solo: all’interno di questa storia viene fuori un messaggio che non è soltanto un messaggio di lotta, di impegno civile, di studio o di analisi, ma è un messaggio educativo soprattutto per le nuove generazioni”.

A questo punto Giovanni Impastato parla delle calunnie contro Peppino Impastato, ma anche delle difficoltà che si trova ad affrontare ancora oggi per portare avanti l’attività antimafia e quella di famiglia: “Le calunnie sono iniziate con Peppino e noi abbiamo sofferto tantissimo, perché l’hanno considerato inizialmente un terrorista. Poi sono continuate con noi, con i compagni, con gli amici. Dopo c’è stato l’isolamento da parte dello Stato e delle istituzioni perché c’è stato un periodo che i nostri nemici non erano soltanto i mafiosi, ma erano anche le istruzioni che cercavano di diffamare Peppino e farlo passare per terrorista. Le calunnie continuano ancora, le diffamazioni nei confronti del nostro impegno, della nostra attività“.

Gli occhi di Giovanni, adesso, si illuminano: si parla di sua madre, Felicia Bartolotta, la donna che ha lottato per restituire verità e giustizia a suo figlio Peppino, assassinato dalla mafia: “Era un essere umano veramente straordinario. Non era una donna colta, ma era molto sensibile. Era lei che ci spronava, che ci incoraggia ad andare avanti quando eravamo delusi o preoccupati. L’idea di Casa memoria è stata sua: l’impegno che ha portato avanti è stato notevole, ha iniziato a parlare con i giornalisti, con i giudici. Era una donna che non si rassegnava fino alla fine, fino all’ultimo ha seguito tutta la vicenda giudiziaria. Una lezione di vita è stata quando si è presentata nelle ultime udienze al tribunale Palermo, durante il dibattimento, e ha puntato il dito contro Gaetano Badalamenti, che poi è stato condannato come mandante dell’omicidio, e ha pronunciato questa frase: ‘Sei stato tu a uccidere mio figlio’. Una denuncia forte, pesante. Però in quella frase che non venivano fuori sentimenti di odio o di vendetta e nemmeno di rancore: quella donna era tranquilla. Serena“.

Diversa la storia del padre di Peppino e Giovanni, anche se quest’ultimo dà una chiave di lettura inedita del la figura del genitore: “Mio padre era un mafioso, noi lo abbiamo sempre detto, faceva parte del clan di Cesare Manzella. Mio padre ha ripudiato Peppino, lo ha buttato fuori di casa perché lo considerava un eretico, un comunista, uno che non si poteva permettere di parlare male dei suoi amici mafiosi. Però era una persona molto contraddittoria: lui quando viene a sapere che Cosa Nostra aveva deciso l’assassino di Peppino, si reca negli Stati Uniti in cerca di protezione per il figlio. E in quel momento cambia qualcosa. Non abbiamo più il mafioso, ma c’è l’uomo, il padre di famiglia che tenta di salvare il figlio“.

Giovanni Impastato parla anche di Antimafia, e distingue antimafia vera e di carrierismo, e il suo ragionamento lo conclude con una postilla: “Io ho rifiutato tante occasioni per dedicarmi interamente alla causa partendo dal basso, dalle radici. Sono stato anche attaccato però non ho mai fatto la vittima. A me non piacciono quelle persone che si trincerano sotto l’emblema della legalità, dell’antimafia, per poi fare carriera e commettere tutta la serie di porcherie. Io ho cercato in tutti i modi di rifiutare tutto questo perché non è un mondo che mi appartiene: io voglio stare qui a Casa Memoria a raccontare la storia di Peppino, a ricordare mia madre, andare in giro a scrivere. Io ho dato tanto tantissimo in questa storia, in tutta questa attività che ho portato avanti durante tutti questi anni, però ho ricevuto molto di più“.

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