Gli studenti siciliani comprendono ciò che leggono o possiedono le nozioni base di matematica? Osservando i dati delle ultime prove Invalsi sembrerebbe di no. Dando un’occhiata ai voti alla maturità il quadro si capovolge e le valutazioni sono addirittura superiori a quelle dei compagni del nord. Nulla di strano o di nuovo. E così ogni anno, puntuale, la polemica è servita.
Giusto per intenderci, in Sicilia gli studenti che hanno ottenuto una valutazione ottima, ovvero un minimo di 90 su 100, è del 7,6% alle Invalsi mentre schizza al 27% alla maturità.
A suscitare dubbi e perplessità sono le modalità con i quali i test vengono proposti ai ragazzi. Quesiti standardizzati che, se da un lato puntano a non fare differenze tra le scuole, non tengono conto delle tante disuguaglianze reali che intercorrono tra le varie regioni.
Ma qual è il fulcro di questo polverone? In primis è legato al Pnrr. Proprio i risultati delle Invasi sono ritenuti uno strumento per la ridistribuzione dei fondi europei. L’uso di questa presunta base di merito allontana però l’obiettivo originale di questi aiuti: colmare il divario tra nord e sud.
Il metro di giudizio alla base è quello della dispersione implicita: la quota di studenti che hanno terminano il loro percorso scolastico senza aver acquisiti le competenze fondamentali in nessuna delle tre materie monitorate (italiano, matematica e inglese). Osservando i dati la destinazione dei soldi è chiara: a essere favorite saranno le strutture settentrionali.
Di questo, e di tanti altri micro e macro argomenti, che ruotano inevitabilmente attorno al tema, ilSicilia.it ha parlato con Adriano Rizza, segretario generale della Flc Cgil Sicilia: “Siamo consapevoli del divario. Il sistema delle Invalsi, con questo meccanismo, tende anche a sminuire il valore della professionalità docente. Parliamo di ragazzi e non di macchine che puoi valutare con parametri rigidi. Sono persone che, a volte, non riescono a raggiungere gli stessi obiettivi dei compagni delle scuole del centro-nord. Il principio di fondo è che le scuole del sud, soprattutto in Sicilia, non hanno le stesse caratteristiche. Questo è quello he contestiamo“.
Queste “caratteristiche” altro non sono che problemi già ben noti e all’ordine del giorno. “Avere una palestra, una buona connessione a internet, laboratori funzionanti, con tutte le attrezzature e un servizio di mensa che funziona e garantisce il tempo prolungato e il tempo pieno – aggiunge Rizza – incide sui risultati finali dei percorsi di studi. Da noi esistono ma con percentuale molto più bassa rispetto alle scuole del nord“. Tutti sono effetti di una diffusa e crescente povertà educativa.
E allora come si spiegano le differenze tra le valutazioni alle Invalsi e alla maturità? “E’ più una questione di carattere pedagogico. Gli insegnati – spiega – hanno la consapevolezza che i nostri studenti hanno meno mezzi e fanno fatica a raggiungere determinati obiettivi. E’ un modo per incoraggiarli, per premiarli e dare loro lo stimolo per continuare gli studi“.
Si tratterebbe dunque di un gap legato per lo più una carenza quantitativa e qualitative delle strutture fruibili più che a una scarsa offerta formativa. Come infatti sottolinea Rizza “la colpa non è dell’insegnante, sarebbe offensivo. Una buona percentuale di insegnanti del nord sono meridionali“.
Facendo un focus sulla categoria dei docenti risalta anche la questione salario: “Non sono valorizzati per il lavoro svolto. Si apre anche il tema della dignità di questi lavoratori. Molti insegnanti al nord per cercare di rientrare a casa, e stare in famiglia, sono costretti a usare tutti i permessi possibili. I loro salari sono tra i più bassi in Europa ma anche all’interno della pubblica amministrazione“.
“Con la legge di Bilancio 2023 – ha aggiunto il segretario generale della Flc Cgil Sicilia – è stato aumentato il parametro perché una scuola possa continuare ad essere autonoma. Da 600 il numero di alunni è stato portato a 1000 alunni. Molti istituti perderanno così l’autonomia scolastica e saranno accorpati o disgregati. Ciò significa che molte scuole nelle zone interne verranno chiuse. A subirne maggiormente le conseguenze saranno territori come Enna o Caltanisetta, dove negli ultimi anni lo spopolamento è in crescita. Se prima le scuole erano in paese adesso i ragazzi saranno costretti a spostarsi e non tutti possono permetterselo. Poi le problematiche del sistema dei trasporti in Sicilia le conosciamo tutti“.
Strutture decadenti, aule sovraffollate, scarsa presenza nelle aree interne e nei quartieri, soprattutto i più complessi. La soluzione? “Potenziare la scuola. Manca – conclude – una politica di investimento sul sistema d’istruzione del nostro Paese, che finora non ha fatto nessuno“.