Come riuscivano ad orientarsi nello spazio e nel tempo i nostri antenati senza gli strumenti più o meno tecnologici a cui siamo, invece, abituati?
Per rispondere a questa e molte altre domande sul rapporto intrinseco che legava i popoli del passato al cielo, mercoledì 25 ottobre a Palazzo Montalbo, in via dell’Arsenale, Palermo ospiterà il primo convegno di archeoastronomia di tutta la Sicilia.
Sarà una giornata dedicata non solo agli addetti ai lavori, anzi. L’obiettivo dell’incontro è proprio quello di attirare un pubblico più vasto, incuriosito all’idea di scoprire quanti monumenti più o meno antichi sono ancora conservati sull’Isola.
Ma cosa è l’archeoastronomia?
L’archeoastronomia è il punto di congiunzione tra astronomia, astrofisica e archeologia. È la scienza che studia il modo in cui le conoscenze e le credenze dei popoli del passato – ma possiamo considerare tali anche i nostri bisnonni vissuti alla fine del 1800 – si materializzassero nella cultura, in particolare nell’architettura.
L’esempio più eclatante sono le chiese, che fino in epoca medievale erano tutte costruite orientandole verso Est, oppure le moschee, tutte orientate in direzione de La Mecca.
La necessità di misurare il tempo e lo spazio per assecondare i ritmi della terra, tra semine e raccolti, è alla base delle necessità pratiche degli uomini e delle donne nella preistoria agricola. “Oggi nessuno si ritrova più con il naso all’insù – spiega il soprintendente del Mare, nonché archeologo, Ferdinando Maurici – se non è un meteorologo o un innamorato. Prima era totalmente diverso, c’era una continua congiunzione tra cielo e terra. Negli ultimi dieci anni stiamo scoprendo decine e decine di siti e monumenti che sono ‘segnalatori sostiziali’ e qualcuno anche ‘equinoziale’. Ne abbiamo censiti almeno un centinaio”, aggiunge.
Questi indicatori sono di varia tipologia, dalle più semplici rocce con fori artificiali, ai massi accostati a creare feritoie e finestre da cui i raggi del sole passano nel giorno del solstizio o dell’equinozio, all’alba o al tramonto, fino a veri e propri edifici.
E, allora, via alla ricerca delle “Stonhenge” siciliane. E non solo.
“Puntiamo a scoprire tutti i siti, li dovremo censire, conservare e, in alcuni casi, sottoporre a scavo, per conoscerli meglio e per avere un quadro più chiaro della realtà nelle singole epoche“, sottolinea Maurici.
A fare il punto delle ricerche in Sicilia saranno, tra gli altri, Giulio Magli, un’autorità mondiale in questo campo, unico docente di un corso ufficiale di archeoastronomia in una università italiana, al Politecnico di Milano, Elio Antonello, presidente della società italiana di archeoastronomia, Alfio Bonanno, primo ricercatore dell’Istituto nazionale di astrofisica, dell’Osservatorio di Catania, ed Andrea Polcaro, professore associato di archeologia del Vicino Oriente antico all’Università di Perugia, nonché figlio di uno dei pionieri dell’archeoastronomia.
QUI il programma completo della giornata.