Doveva essere la nuova frontiera, aprendo le porte a nuovi scenari nel mercato del lavoro, e invece si è rilevato una semplice parentesi. O così almeno appare. Dalla pandemia ad oggi l’attenzione verso lo smart working, in molti campi dell’occupazione, sembra essersi affievolita. Il tema è stato per lungo tempo al centro del dibattito tra chi ha tratto vantaggi dal south working, approfittando del supporto delle nuove tecnologie, e chi invece lo interpreta e lo riscrive come una mancanza del “sacrificio” e dell'”impegno“. Ora sembra essersi incagliato tra norme, leggi e proroghe.
La mancanza di dati precisi e l’incapacità di riuscire a coinvolgere tutte le categorie, sono l’emblema delle difficoltà incontrate dal lavoro agile. Se gli interventi e le risposte del Governo centrale faticano ad arrivare, in Sicilia va anche peggio. Il nuovo regime dello smart working, introdotto a livello nazionale dalle altra contrattazioni collettive, non è applicabile in Regione. Il motivo? Il contratto collettivo regionale di lavoro non è stato ancora rinnovato. Per anticipare i tempi, nel piano è stata prevista la possibilità di implementare le forme di telelavoro nel limite del 10% del personale. Una linea che nasconde comunque delle sue criticità in quanto, in ogni caso, tale limite è un gap, poiché facile da sfiorare.
Nel settore privato, soprattutto grandi aziende e multinazionali, hanno saputo cogliere al meglio le opportunità offerte dal lavoro flessibile, riuscendo anche a risparmiare, abbassando notevolmente i costi derivanti dal mantenimento di strutture o uffici. Una tendenza confermata dai dati Istat 2022: lo smart working è utilizzato solo dal 4,4% delle micro-imprese e dal 10,9% delle piccole, mentre la quota sale al 31,4% per le medie e al 61,6% per le grandi. Chi arranca è il pubblico. Nella pubblica amministrazione, infatti, lo smart working è stato in parte abbandonato, se non per poche eccezioni: lavoratori fragili, genitori di under 14, assistenti e accompagnatori o per il sopraggiungere di emergenze nazionali. Al momento la possibilità di lavorare “a distanza” per le prime due categorie scadrà il 31 dicembre 2023. L’idea, in discussione, è quella di prorogarla fino giugno 2024.
“Il ricorso allo smart working rappresenta un punto di forza di un’amministrazione moderna ed efficiente, per questo il nostro sindacato ha richiesto la sua applicazione già prima dell’emergenza per il coronavirus“. Ad affermarlo è stato il segretario della Cisl Fp Sicilia Paolo Montera che prosegue: “Anche dopo il covid – prosegue – il ricorso a tale strumento va conservato per dare maggiore efficienza al lavoro pubblico, specie alla luce del fatto che molti privati hanno implementato lo smart working producendo esiti positivi sia per i costi aziendali che per la garanzia della conciliazione lavoro famiglia dei lavoratori“.
Se è complicato trovare il giusto assetto nel presente la riflessione per il futuro è obbligatoria. E’ vero che dopo il boom del 2021 con oltre 4mln di lavoratori in remoto, secondo l’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, il numero è calato l’anno successivo ma il 2023 potrebbe chiudersi in salita, avvicinandosi al periodo della pandemia. Un lieve aumento che fa ben sperare per il 2024 ma attualmente il movimento complessivo è ancora orientato verso un ritorno in presenza. Secondo i dati Istat, in due anni siamo passati dal 20% di imprese che usufruivano del south working al 6%.
Eppure, chi ha intrapreso questa strada difficilmente tornerebbe sui suoi passi. Con le stesse tutele e guadagni, svolgere il proprio lavoro da casa trainerebbe più vantaggi che svantaggi. La possibilità di gestire tempi e spazi a proprio piacimento, anche in una proprio comfort zone di solitudine, prevale sull’assenza del “calore umano” e della pratica fisica e diretta, considerati, visti i tanti mezzi ad oggi disponibili, non più così indispensabili come si potrebbe pensare. E l’intelligenza artificiale non farà altro che implementare questo elemento.
Un’opzione, quella di poter svolgere le proprie mansioni da remoto, che gira anche intorno al risparmio non solo del tempo ma anche economico. Proprio da questo punto di vista si crea un duplice vantaggio tra passato e futuro. Risolvere due problemi in uno: lo spopolamento delle aree interne e l’occupazione giovanile. Un esperimento già avviato in alcuni borghi siciliani, capofila nella promozione e nel rilancio del territorio. Un aiuto giunge anche dal ddl montagna, approvato dal Consiglio dei ministri. Al suo interno si leggono le misure proposte per lo sviluppo economico ed è prevista un’agevolazione per lo smart working con l’introduzione di “misure in favore delle imprese che promuovono il lavoro agile quale modalità ordinaria di esecuzione dell’attività, nei Comuni di montagna“. Il disegno di legge prevede per le imprese che adottano il lavoro agile come modalità principale, un esonero totale dai contributi previdenziali per due anni, a beneficio dei dipendenti con contratti di almeno 12 mesi.
Con la sua grande capacità attrattiva, la Sicilia avrebbe tutte le carte in regola per cavalcare l’onda e diventare la sede, se non la capitale, del coworking.