“Dopo la morte di Paolo Borsellino, precisamente a settembre del 1992, il Ros dei carabinieri depositò la cosiddetta informativa Sirap in cui si sosteneva che dietro le illecite aggiudicazioni degli appalti in Sicilia c’erano politici come Nicolosi, Mannino e Lima. Scoprimmo allora che i carabinieri erano in possesso di intercettazioni a carico di questi e altri personaggi ‘illustri’ già dal 1990 e che fino al 1992, nonostante nel 91 ci avessero consegnato una prima informativa, non vi avevano fatto cenno“.
Punta il dito sui carabinieri del Ros l’ex procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato, sentito come teste al processo sul depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio in corso a Caltanissetta. Scarpinato è stato citato dal legale di due degli imputati, l’avvocato Giuseppe Seminara che assiste i poliziotti Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei, imputati del depistaggio e accusati di calunnia aggravata, insieme al funzionario di polizia Mario Bo.
Oggetto della deposizione l’inchiesta mafia-appalti condotta dalla procura nei primi anni ’90. Secondo alcuni legali proprio il rischio che da quell’indagine venissero fuori collusioni tra mafia, politica e imprenditoria sarebbe stata il movente dell’accelerazione dell’attentato a Borsellino che dal marzo dal marzo 1992 arriva come aggiunto in Procura a Palermo. La Procura all’epoca venne accusata con una campagna di stampa di aver insabbiato gli accertamenti. Accusa respinta da Scarpinato che ha ricostruito tutte le fasi dell’indagine che portò poi ad arresti e condanne di politici e imprenditori e quindi – spiega il magistrato – fu tutt’altro che chiusa. Tornando alle intercettazioni depositate dopo due anni dalla loro effettuazione Scarpinato ha aggiunto: “chiedemmo perchè non ce le avevano depositate prima, un maresciallo del Ros ci disse che aveva ricevuto indicazioni dal Ros di non consegnarle perchè non erano rilevanti“.
“Questo fu il vero insabbiamento – ha aggiunto – e fu fatto credere che la procura aveva intercettazioni su personaggi eccellenti e le nascondeva mentre le aveva il Ros. Fu una cosa gravissima ed è grave che ogni tanto, specie in fasi nodali di certi processi parte della stampa la ritiri fuori”.
“Borsellino mi chiese a fine maggio del 1992 a che punto fosse l’indagine mafia e appalti. L’inchiesta lui la conosceva perchè aveva letto la richiesta di misura cautelare che avevamo fatto. Gliela avevamo mandata perchè c’era un episodio relativo a un appalto di Pantelleria sul quale lui, da procuratore di Marsala, rivendicava la competenza a indagare. In quell’occasione gli feci una sintesi dell’indagine“.
“Mi chiese particolare riservatezza. – ha spiegato – Era arrivato l’esposto cosiddetto del Corvo bis in cui si parlava di incontri tra l’ex ministro Mannino e il boss Totò Riina e del presunto patto stretto tra loro: i voti della mafia alla corrente di Mannino in cambio di appalti a imprese mafiose e benefici carcerari ai boss. Nel documento si invitavano anche le autorità a cui era indirizzato a rivedere l’inchiesta mafia-appalti”. “Borsellino ragionò con me su chi aveva potuto scrivere l’anonimo – ha spiegato – e mi disse: mi hanno detto che potrebbe essere un ufficiale del Ros, ho avuto appuntamento per cercare di capire chi è, ma tienitelo per te”.
“Non mi risulta – ha concluso – che Borsellino si sia lamentato che l’indagine non avesse avuto il respiro che meritava“.
“Vidi Falcone quando si parlava della sua nomina alla Procura Nazionale Antimafia e mi disse che Mutolo aveva iniziato a collaborare e che avrebbe fatto rivelazioni esplosive. Mi invitò a fare domanda per andare alla Procura Nazionale prospettandomi che avremmo indagato insieme su Gladio. Gladio d’altro canto era un argomento sul quale ci eravamo già confrontati e su cui avevamo avuto scontri con l’allora procuratore Giammanco. Per Falcone si doveva partire da lì per ricostruire i delitti politici, mentre Giammanco era contrario“, aggiunge.