Doveva essere l’opportunità di riscatto per migliaia di disoccupati alla ricerca di lavoro e invece la beffa ancora una volta è rimasta ben nascosta dietro l’angolo. La misura di assistenza e previdenza targata Meloni dal primo gennaio 2024 ha sostituito nella sua interezza il Reddito di cittadinanza. Il simbolo e l’emblema del governo pentastellato prevedeva una grande macchina in movimento che, in circa cinque anni dalla sua nascita, è finita per accartocciarsi su se stessa. Seppur in una forma e in una sostanza differente, una fine analoga rischia di avverarsi anche per l’assegno di inclusione.
Nei giorni scorsi ha catturato l’attenzione lo scontro andato in scena tra la Commissione europea e il ministero del Lavoro. Secondo l’analisi su occupazione, competenze professionali e inclusione sociale in Italia diffusa da Bruxelles “in media, senza tenere conto dei potenziali effetti della riforma come maggiori incentivi al lavoro, si prevede che l’assegno di inclusione determinerà una maggiore incidenza della povertà assoluta e infantile di 0,8 punti percentuali e 0,5 punti percentuali rispetto al precedente schema“.
Da Roma la risposta è stata secca: “Si basa su uno studio di natura statica e parziale“. Un botta e risposta che ha spostato l’attenzione e spento i riflettori su una realtà triste e desolante come quella del territorio siciliano. I corsi di formazione, vero cuore pulsante della norma, in regione non sono ancora partiti.
La Sicilia (CLICCA QUI) è la seconda in tutta la Penisola per numero di percettori, superata dalla sola Campania, e la quasi totalità delle domande appartiene proprio a ex possessori del Reddito di cittadinanza. I dati del primo mese hanno registrato 145.197 domande, con le province di Palermo e Catania in vetta, rispettivamente con 49.045 e 33.230 istanze. Se i numeri posso sembrare alti, in realtà circa una domanda su quattro è stata respinta per mancanza di requisiti.
Dopo aver superato una selezione molto più complessa e selettiva della precedente, i beneficiari dovranno fare adesso i conti con un sistema che può definirsi zoppo. La preoccupazione è lampante. “Siamo in una condizione di immobilismo. L’ultimo messaggio Inps ha modificato le modalità di erogazione e questo comporterà sicuramente la sospensione dell’indennità mensile se il beneficiario non è nelle condizioni di confermare quanto sottoscritto nel patto di servizio nei centri per l’impego“. A spiegare il funzionamento attuale dell’Adi è stato il segretario Uil Sicilia Giuseppe Raimondi.
“Se il patto di servizio, dopo aver svolto l’attività di orientamento, che è la prima politica attiva che si eroga, prosegue con un corso di formazione, il beneficiario – sottolinea Raimondi – deve poter comunicare all’Inps che quanto stabilito nel patto di servizio, la continuazione dell’erogazione delle politiche attive, sta continuando come previsto oppure no. Se non comunica che ha iniziato il corso il rischio è che l’Inps sospenda l’erogazione dell’indennità. Questa cosa non è accettabile. Queste notizie si conoscevano da tempo e il dipartimento della Formazione, che per competenze interviene in tal senso, è in notevole ritardo“. Infatti, non è la prima volta che il funzionamento della struttura complessiva dell’Adi suscita dubbi e perplessità. ilSicilia.it se ne era già occupato a marzo e ne aveva parlato con chi quotidianamente percepisce e vive i disagi di questa ampia platea (CLICCA QUI).
Un altro aspetto ancora molto dubbio è il funzionamento delle “piattaforme che possono essere utilizzate per aggiornare l’Inps. Questo – ha dichiarato il segretario di Uil Sicilia – può avvenire o tramite le piattaforme che utilizzano i caf o i patronati o l’amministrazione regionale deve rendere legittimi da parte di Inps le piattaforme che mette su. Ci sono più piattaforme in giro, ma al momento non sono abilitate per essere lette dall’Inps. In ogni caso, se non partono i corsi e i beneficiari del supporto alla formazione non possono dichiarare di aver dato inizio al corso il rischio è che l’Inps blocchi l’erogazione“.
La speranza è l’ultima a morire. Le pressioni affinché i corsi possano finalmente vedere la luce e avviarsi sono costanti. “Nel comitato delle politiche attive, insediato recentemente nell’assessorato del Lavoro, questo aspetto della questione è stato sollecitato con determinazione. Anche gli enti di formazione – ha concluso Raimondi – sono in difficoltà perché tutti quelli che hanno orientato non sono nelle condizioni di poter completare il percorso individuato“.