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Le linee

Rinnovabili, il decreto per le aree idonee tra confusione e rischio discriminazione: la Sicilia rivedrà i suoi piani?

mercoledì 19 Giugno 2024
eolico

Nato per delineare un quadro ben preciso e linee guida più definite, il decreto che individua le aree idonee per le rinnovabili rischia di trasformarsi in un ulteriore oceano di confusione. La corsa per allinearsi agli ambiziosi obiettivi europei ha assunto un ritmo decisamente affannoso e ostico da sostenere. Difficoltà divenute tali vista anche l’incapacità della politica nel sapere dettare una visione nitida e unitaria. Proprio questi ultimi due elementi sono i nodi cruciali che hanno sollevato il polverone dopo l’annuncio dell’approvazione del testo arrivata alla Conferenza unificata fra Stato, Regioni e Comuni.

Nel maggio 2022 la Commissione europea, con il piano REPowerEU, aveva raggiunto l’accordo per una quota pari al 45% di rinnovabili nella produzione di energia nell’industria e negli edifici entro il 2030. Asticella che si era leggermente abbassata l’anno seguente al 42,5%. L’Italia prosegue il suo cammino green, ma i dati evidenziano come questa metamorfosi sia più lenta del previsto, anche in territori come la Sicilia ritenuti dei veri e propri “Eldorado“.

I NUMERI DELLE RINNOVABILI

Comuni rinnovabili, l’ultimo rapporto di Legambiente, evidenzia come il 2023 sia stato un anno felice e rigoglioso per lo sviluppo delle rinnovabili. La strada imboccata appare quella giusta, ma a mancare è ancora quell’ulteriore sprint che già in molti stati Ue è avvenuto.

In questa cornice la Sicilia può dire di aver passato l’esame in materia di eolico, piazzandosi seconda alle spalle della sola Puglia, e di fotovoltaico, occupando la sesta piazza. L’Isola, come la maggior parte delle Regioni, è però bocciata nel campo dell’energia idroelettrica, delle bioenergie e della geotermica.

Dunque, alcuni piani sono certamente da rivedere, considerando come la maggior parte degli intoppi siano riconducibili all’immobilismo della politica: dalle autorizzazioni alla lentezza degli iter amministrativi, dagli ostacoli normativi e culturali alle norme obsolete.

BOTTA E RISPOSTA SUL DECRETO AREE IDONEE

Un segnale dunque sembra essere arrivato, ma non è quello che ci si aspettava. Lo scopo del decreto, si legge, è quello di “individuare la ripartizione fra le Regioni e le Province autonome dell’obiettivo nazionale al 2030 di una potenza aggiuntiva pari a 80 Gw da fonti rinnovabili rispetto al 31 dicembre 2020, necessaria per raggiungere gli obiettivi fissati dal Pniec” e di “individuare superfici e aree idonee e non idonee” per gli impianti. Il provvedimento fissa con una tabella gli obiettivi di nuova potenza rinnovabili anno per anno per ciascuna regione, dal 2021 al 2030. Per il ministro Pichetto Fratin si tratta di un “obiettivo raggiunto. Abbiamo sbloccato un decreto lungamente atteso, un nuovo tassello verso la decarbonizzazione“.

La norma non è stata accolta da tutti con lo stesso entusiasmo. Con un comunicato congiunto Greenpeace, Legambiente e Wwf l’hanno definita come “un’ulteriore barriera per lo sviluppo delle rinnovabili in Italia e quindi non solo per le politiche climatiche, ma anche per l’indipendenza e la sicurezza energetica. Dopo che solo qualche settimana fa è stato approvato il decreto-legge Agricoltura, che limita drasticamente il fotovoltaico nei terreni agricoli, norma sconsiderata – prosegue la nota congiunta – l’accordo sulle aree idonee amplia ulteriormente le restrizioni, dando di fatto una nuova stretta. L’ultima versione del decreto, fondamentalmente lascia carta bianca alle Regioni nella selezione delle aree idonee. Risultato: il quadro autorizzativo per le rinnovabili diventa ancor più complicato, senza una cornice di principi omogenei. L’esito di questo percorso saranno leggi regionali disomogenee, che complicheranno ulteriormente il quadro regolatorio per le rinnovabili, già messo a durissima prova“.

Le associazioni ambientaliste denuncianola piena e arbitraria discrezionalità delle Regioni nell’estensione della fasce di rispetto, per le aree che presentano beni culturali, fino a 7 km” e “l’eliminazione dell’articolo 10, che faceva salvi i procedimenti autorizzativi già avviati“. In questo modo “si rischia di dare validità retroattiva al provvedimento, ledendo diritti acquisiti e, soprattutto, rendendo l’Italia un Paese inaffidabile per gli investitori“.

Le ong prevedono anche “le dilatazioni nei tempi burocratici. Il decreto prevede sì che il Mase abbia il compito di vigilare sul raggiungimento degli obiettivi presentati nella tabella e, in caso di inadempienza, adottare opportune iniziative ai fini dell’esercizio di poteri sostitutivi della costituzione. Però, prima che possa effettivamente farlo, alle Regioni, tra una richiesta d’osservazioni e l’altra, verranno comunque dati circa 15 mesi di autonomia“.

Critiche che non sono passate inosservate e che lo stesso ministro ha colto per lanciare un chiaro invito alle Regioni a “evitare soluzioni esageratamente diversificate“.

COSA FARA’ ADESSO LA SICILIA?

Resta da capire come si muoverà la Sicilia e in particolar modo l’assessorato dell’energia. La Regione parte certamente dal netto vantaggio di poter contare su un territorio fertile e ricco di opportunità, invidiabile agli occhi di molte altre realtà. Dopo il blocco causato dal voto delle Europee, la macchina della politica siciliana sarà costretta ad accendere e riscaldare i motori, prima della lunga e imminente pausa estiva.

Sul tavolo sono tante le carte e le questioni da analizzare. A tenere banco saranno così anche le rinnovabili. Già qualche anno fa la Sicilia si era adoperata emanando un decreto per l’individuazione delle aree non ideone per la realizzazione di impianti di produzione di energia elettrica da fonte fotovoltaica ed eolica, tra cui quelle a rischio idrogeologico e quelle da tutelate. La nuova disposizione impone certamente qualche revisione e qualche accorgimento per permettere all’Isola di restare in linea con le altre Regioni che approfitteranno delle linee tracciate dal decreto.

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