Sulla strage di via D’Amelio, costata la vita al giudice Paolo Borsellino e alla sua scorta, fu “costituita una verità che in un determinato momento storico si è voluta accreditare”, una verità di comodo, dunque, basata su dichiarazioni false: lo scrivono, confermando la tesi del depistaggio dell’inchiesta sull’attentato i giudici della corte d’assise d’appello di Caltanissetta che oggi hanno depositato le motivazioni della sentenza che ha confermato la condanna all’ergastolo per i boss Salvo Madonia e Vittorio Tutino, imputati di strage e la condanna a 10 anni dei “falsi pentiti” Francesco Andriotta e Calogero Pulci, accusati di calunnia.
Per i giudici, i falsi pentiti che accreditando una ricostruzione mendace della strage fecero condannare all’ergastolo persone estranee all’attentato, erano parte di un piano ben preciso. Le loro dichiarazioni erano “avvinte da una sorprendente circolarità di contenuti” ed erano fondate su frammenti di verità in ordine ad alcuni dettagli degli eventi che solo fonti qualificate potevano avere”. Secondo la corte la finalità del depistaggio non è chiara. Ma, precisano i giudici, come ritennero i magistrati del primo grado, gli inquirenti dell’epoca, incaricati di indagare sulla strage di Via D’Amelio, credettero a una fonte confidenziale, mai rivelata “tanto da operare poi una serie di forzature per darle dignità di prova“.