Ci sono due medici indagati per favoreggiamento aggravato nell’ambito dell’inchiesta sulla rete dei fiancheggiatori che hanno aiutato Matteo Messina Denaro durante la latitanza. Sono il gastroenterologo ed endoscopista di Marsala Francesco Bavetta e il chirurgo dell’ospedale di Mazara del Vallo Giacomo Urso. Entrambi i professionisti ebbero in cura l’allora latitante nell’autunno del 2020. Bavetta è lo specialista che il 5 novembre di quattro anni fa diagnosticò al capomafia il cancro al colon attraverso una colonscopia.
Il paziente, che si sarebbe presentato col nome di Andrea Bonafede, era arrivato a lui attraverso Giovanni Luppino, imprenditore poi arrestato il 16 gennaio insieme al boss. Nel covo di Messina Denaro sono stati trovati i referti compilati da Bavetta e intestati a Bonafede. Il medico, sentito dai pm, ha ammesso di aver eseguito l’esame, ma ha sostenuto di aver saputo solo dopo la cattura che il paziente in realtà era Matteo Messina Denaro. Urso, invece, è il chirurgo che a soli quattro giorni dalla diagnosi di Bavetta, ha operato di cancro il capomafia. Anche lui, interrogato, ha negato di essere stato a conoscenza della vera identità del malato.
“Il quadro di connivenze in favore di Matteo Messina Denaro fuori e dentro le strutture sanitarie, sta assumendo dimensioni allarmanti e imporrà ulteriori approfondimenti che saranno svolti in un contesto che fino a ora non ha mostrato alcuno spirito collaborativo“, scrissero i pm di Palermo nella richiesta di misura cautelare che, mesi fa, portò all’arresto di un altro esponente della sanità: il tecnico radiologo dell’ospedale di Mazara del Vallo, Cosimo Leone, indagato insieme all’architetto Massimo Gentile, il professionista che preso l’identità al boss, e a un terzo favoreggiatore.
Al momento le presunte collusioni nell’ambiente medico scoperte, oltre a quelle ipotizzate e tutte da verificare a carico di Bavetta e Urso, sono due: oltre al medico curante del padrino, Alfonso Tumbarello, Leone, che avrebbe aiutato il capomafia dopo la diagnosi del tumore chiedendo di cambiare turno e facendo coincidere la sua presenza in ospedale con gli accertamenti diagnostici subiti dal capomafia e informando costantemente della salute del paziente un altro fiancheggiatore, Andrea Bonafede, cugino e omonimo del geometra che aveva prestato al boss l’identità per farsi curare.