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La questione

Il Comune di Palermo parla poco al femminile, la lotta per la parità di genere all’Ars

lunedì 14 Ottobre 2024

La parità di genere negli enti locali è un tema rimbalzato agli onori della cronaca per il ddl di riforma presentato all’Ars. La discussione generale a Sala d’Ercole riprenderà martedì 15 ottobre. Ma se c’è un obiettivo già raggiunto dal testo, che vede come relatore il presidente della commissione Affari istituzionali Ignazio Abbate, è quello di avere acceso il dibattito sullo stato dei comuni dell’Isola, sia sul fronte economico che su quello politico. Su alcuni punti del ddl ci sono molteplici sensibilità, anche interne al singolo partito. Solo per citarne alcune la battaglia per l’assessore aggiuntivo nelle Giunte Comunali, il consigliere supplente, il terzo mandato per i sindaci dei piccoli comuni, l’aumento delle indennità e i problemi finanziari delle 391 città siciliane. In mezzo a questo marasma però c’è un tema che ha stimolato l’interesse di tutta l’Isola, ovvero proprio quello della parità di genere nelle Giunte Comunali.

La battaglia per la parità di genere all’Ars

L’attuale bozza del testo prevede infatti una soglia minima del 20%. Percentuale sulla quale la politica si è mossa con una serie di emendamenti per chiederne l’innalzamento al 50% o quantomeno al livello della media nazionale, cioè il 40%. Alle proposte di modifica all’Ars si sono aggiunti poi gli appelli delle singole Amministrazioni. A cominciare dal Comune di Palermo. Il Consiglio Comunale ha infatti approvato un ordine del giorno con il quale si impegna “il sindaco Roberto Lagalla a chiedere al presidente della Regione Renato Schifani di assicurare che, nella discussione all’Ars, sia recepita la normativa nazionale che prevede che nessuno dei due sessi sia rappresentato nelle giunte comunali in misura inferiore al 40 per cento. L’obiettivo è la salvaguardia della democrazia paritaria“. Un voto che ha visto 30 consiglieri favorevoli e un solo astenuto. Sul tema, all’Ars sembra esserci un’intesa di massima che si dovrà concretizzare in aula, anche se il destino di tale norma è legato a quello del testo nel suo complesso. Insomma, portare a casa il risultato è tutt’altro che scontato.

I numeri deficitari del Comune di Palermo

Ma la domanda che sorge spontanea è la seguente: qual è lo stato del Comune di Palermo sul fronte della parità di genere? La risposta sta nei numeri. La Giunta del sindaco Roberto Lagalla conta soltanto due esponenti donne su undici elementi complessivi. Si tratta di Brigida Alaimo, assessore al Bilancio in quota Fratelli d’Italia, e Rosi Pennino, esponente di Forza Italia con delega ai Servizi Sociali.

All’inizio, l’esecutivo del primo cittadino contava tre quote rosa, ma dopo l’uscita di scena di Antonella Tirrito in quota Lavoriamo Per Palermo (ovvero la lista civica che fa capo all’ex Rettore) Lagalla ha deciso di ricorrere al profilo di Fabrizio Ferrandelli. In caso di approvazione delle proposte di modifica richieste nel ddl enti locali, per il sindaco di Palermo ci sarebbe l’esigenza di chiedere alla sua coalizione almeno due ingressi. Il che vorrebbe dire due assessori uomini che dovrebbero lasciare il proprio posto. Ciò se questo aspetto specifico della riforma entrasse subito in vigore.

Il Consiglio Comunale e le società Partecipate

Andando al Consiglio Comunale, Sala Martorana conta undici consiglieri donne su quaranta elementi complessivi. Il gruppo più rappresentato al femminile è quello di Fratelli d’Italia, con tre donne al proprio interno (Teresa Leto, Tiziana D’Alessandro e Germana Canzoneri). Seguono il Partito Democratico (Teresa Piccione e Mariangela Di Gangi) e la Democrazia Cristana (Giovanna Rappa e Viviana Raja). Dopodichè in Consiglio Comunale figurano Giulia Argiroffi (Oso), Sabrina Figuccia (Lega), Concetta Amella (M5S), Catia Meli (Forza Italia).

E sul fronte Partecipate? Al di là delle nomine obbligatorie per legge all’interno dei Consigli d’Amministrazione, l’unica presidenza al femminile è quella di Giovanna Gaballo, attuale numero uno di Sispi nominata in quota Democrazia Cristiana. Numeri che sembrano miseri rispetto alle richieste di equità del mondo politico. Fatto che dimostra che, prima ancora che normativa, la rivoluzione nei partiti deve essere culturale.

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