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Il racconto

“Il Giudice e il Boss”, la storia di Cesare Terranova e del maresciallo Lenin Mancuso arriva a Licodia Eubea

domenica 16 Marzo 2025

Cesare Terranova e Lenin Mancuso, sono due nomi che, soprattutto tra i più giovani, non dicono nulla o al massimo dicono poco. Comprensibile, in un certo senso, considerato che gli omicidi di mafia sono stati molteplici nel corso del novecento, e conoscerne la storia di tutti non è affatto semplice.

Ciò che conosciamo oggi, ovvero, il lavoro che venne portato avanti da Falcone, Borsellino, Chinnici e Costa fu iniziato proprio da Cesare Terranova.

Terranova, nacque a Petralia Sottana il 15 agosto 1921, ed entrò in magistratura nel 1946, svolgendo le funzioni di pretore di Messina, e già nel 1958, come giudice istruttore al Tribunale di Patti, si occupò di numerosi processi a famiglie mafiose, perseguendo le quali, riuscì a sostenere con efficacia l’accusa in giudizio della c.d. “Primula Rossa” dei corleonesi, vale a dire Luciano Liggio.

Il giudice Terranova fu uno dei primi ad intuire la pericolosità della cosca dei Corleonesi, e nel 1969 ne arrestò quasi un centinaio per il primo processo contro Cosa Nostra svolto Bari, a cui lavorò dieci anni per l’istruzione.

Un primo “maxiprocesso” che, per via del periodo storico nel quale l’associazione di stampo mafioso e l’art. 416 bis non erano ancora stati introdotti nel codice penale, vide l’assoluzione di quasi tutti gli imputati dalle gravi accuse per insufficienza di prove (Totò Riina fu condannato solo per il furto di una patente).

Quel processo, considerato scandaloso dalla commissione parlamentare Antimafia e dall’opinione pubblica, fu segnato dalla lettera minatoria anonima, firmata con una croce, che venne inviata da Corleone. Infatti, poco dopo la sentenza, il pubblico ministero Zaccaria denunciò la circostanza che il verdetto era stato emesso in un clima di minacce e intimidazioni, aggiungendo che la lettera venne recapitata anche al presidente Vito Stea e a tutta la giuria riunita in camera di consiglio, e recitava:Voi non avete capito o è meglio dire non volete capire che cosa significa Corleone voi state giudicando degli onesti galantuomini che i carabinieri e la polizia hanno denunciato per capriccio noi vi vogliamo avvertire che se un solo galantuomo dei Corleone sarà condannato voi salterete in aria sarete distrutti sarete scannati come pure vostri familiari adesso non vi resta che essere giudiziosi”. 

Il Consiglio Superiore della Magistratura, in seguito, indagò sull’operato del Collegio Giudicante ed appurò che i giudici erano stati fatti oggetto di gravi minacce. Il 23 dicembre 1970, al processo di appello, in riforma della precedente sentenza di primo grado, Liggio fu condannato all’ergastolo. L’arresto, infine, avvenne quattro anni dopo a Milano.

Tornando a Terranova, nel 1972 si candidò alle elezioni parlamentari come “indipendente” nelle liste del Partito Comunista Italiano, venendo eletto deputato, carica che ricoprì sino al 1979. Nel ruolo di parlamentare divenne membro della Commissione Antimafia, potendo così portare la propria esperienza.

È Cesare Terranova che firma, insieme a Pio La Torre ed Emanuele Macaluso, la relazione sul “sacco” edilizio di Palermo, i rapporti tra mafia e politica, le mani sulla città di Salvo Lima e Vito Ciancimino. E si deve sempre all’opera di Terranova, insieme al deputato comunista Pio La Torre, la legge sull’associazione mafiosa e sulla confisca dei beni che abbiamo ancora oggi, strumento decisivo per la lotta al crimine (la legge Rognoni – La Torre, 646/1982).

Il corpo del giudice Terranova all’interno della Fiat 131

Dopo l’esperienza parlamentare, Terranova torna a Palermo dopo essere stato nominato dal CSM Consigliere di Corte di Appello. La mattina del 25 settembre 1979, uscendo di casa per andare a lavoro con il proprio agente di scorta e stretto collaboratore, il Maresciallo Lenin Mancuso, la Fiat 131 sulla quale viaggiavano viene inaspettatamente bloccata da una transenna per “lavori in corso”. I sicari mafiosi, subito sbucati alle spalle e ai fianchi, fecero fuoco con dei fucili Winchester uccidendo sul colpo il giudice Terranova e ferendo mortalmente il maresciallo Mancuso.

E qui si lega il regista Pasquale Scimeca, che con il film “Il Giudice e il Boss” ha voluto raccontare la storia di Terranova (interpretato da Pasquale Bruno), Mancuso (interpretato da Peppino Mazzotta) e dell’antagonista Liggio (interpretato da Claudio Castrogiovanni), presentato al “Taormina Film Festival” e proiettato ieri a Licodia Eubea (CT), in presenza dello stesso regista, che sul perché del film spiega: “Sostanzialmente sono due i motivi. Il primo ha a che fare con le persone e quindi con le figure del giudice Terranova e del maresciallo Mancuso. A me piace raccontare le storie delle persone dimenticate, messe da parte, per farle conoscere alle nuove generazioni. Il giudice Terranova è stato il colui che ha aperto la porta per uno sguardo sulla mafia, e quello che ha insegnato il mestiere fisicamente a Paolo Borsellino, è stato un suo uditore, ma anche ai i giudici che verranno dopo, una metodologia di indagine, ed è quello che prima di tutti ha capito il rapporto tra mafia, politica ed economia“.

Scimeca con il cast del film

Sul maresciallo Mancuso, aggiunge: “Era un poliziotto moderno, contemporaneo, un poliziotto diverso rispetto al suo tempo. Un poliziotto che, come saranno in seguito Boris Giuliano, Ninnì Cassarà, Lillo Zucchetto, Beppe Montana amava fare il suo lavoro, non con la divisa, ma su strada, andando nei vicoli, nelle taverne, per cercare informazioni e dove aveva i c.d. confidenti, considerato che a quei tempi non esistevano ancora i collaboratori di giustizia“.

Il secondo motivo, invece, ricade sull’importanza della cinematografia: “Penso sia importante che attraverso il cinema venga promossa una cultura contro la mafia, una cultura di legalità, una cultura dove i personaggi principali non sono i boss mafiosi bensì chi la mafia l’ha combattuta, quindi rendere protagonisti di un film queste due figure che rappresentano lo Stato, un magistrato e un poliziotto, che in qualche maniera hanno insegnato a tutti gli altri come si combatte e perché si deve combattere la mafia in un’epoca in cui la maggior parte dei giudici e dei poliziotti si voltavano la testa da un’altra parte dinanzi ai fenomeni mafiosi“.

È essenziale lasciare emozioni – conclude – e non messaggi, perché attraverso l’emozione si apre la mente, si apre il pensiero, si apre una finestra su un mondo su cui spesso i ragazzi non sanno nulla, cioè il mondo della mafia“.

In occasione della Giornata nazionale della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime delle mafie che si celebra il 21 marzo, il nostro Comune ha promosso la proiezione del film Il Giudice e il Boss, un’opera che aiuta a riflettere sulla lotta alla criminalità organizzata e sul valore della giustizia“, dichiara il sindaco di Licodia Eubea Santo Randone.

Un momento della proiezione

Questa iniziativa – prosegue –  si inserisce in un percorso più ampio di sensibilizzazione che portiamo avanti ogni giorno, con particolare attenzione alle nuove generazioni. Crediamo infatti che educare i bambini e i ragazzi ai valori della legalità sia il modo più efficace per contrastare la cultura mafiosa. Per questo abbiamo voluto dedicare la proiezione mattutina agli alunni e alunne della scuola secondaria di primo grado dell’istituto comprensivo Mazzarrone-Licodia Eubea. Ringrazio il dirigente scolastico e i docenti che hanno accompagnato e preparato la comunità scolastica a questo evento, permettendogli di partecipare nonché l’assessore Franco Barbuto per il suo impegno nel coordinare questa attività e tutte le iniziative che mirano a diffondere i principi di legalità e giustizia nella nostra comunità“.

A sinistra il sindaco Randone, a destra l’assessore Barbuto in compagnia dell’ex segretario Scuderi

Il comune di Licodia Eubea – commenta in conclusione l’assessore Franco Barbuto –  è da sempre in prima linea nella promozione della cultura della legalità. La proiezione del film Il Giudice e il Boss è solo una delle tante iniziative che portiamo avanti per sensibilizzare i cittadini, in particolare i più giovani, sul tema del contrasto alla mafia. Siamo convinti che il cambiamento passi attraverso la conoscenza e la consapevolezza, ed è per questo che continueremo a lavorare affinché la memoria delle vittime di mafia resti viva e diventi un insegnamento per tutti. Ringrazio il Sindaco e tutta l’amministrazione per il sostegno costante in questo impegno comune, unitamente al regista Pasquale Scimeca e la produttrice Linda Di Dio per la loro gradita presenza in sala e massima disponibilità nel rispondere alle domande e curiosità del pubblico durante il dibattito che si è tenuto dopo entrambe le proiezioni“.

 

 

 

 

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