I cittadini devono capire che colpire un sanitario – sia esso medico, infermiere o autista soccorritore – significa fare un danno a tutta la collettività. Sempre più spesso, davanti a una chiamata di emergenza, i colleghi intervengono con timore, pensano prima a difendersi che ad assistere il paziente. Eppure, alla fine, l’assistenza viene comunque garantita”.
A dichiararlo è Toti Amato, presidente dell’Ordine dei Medici di Palermo, a nome di tutti i nove Ordini provinciali della Sicilia – Agrigento, Caltanissetta, Catania, Enna, Messina, Palermo, Ragusa, Siracusa e Trapani –, che lanciano un appello ai cittadini ma soprattutto alle istituzioni affinché si garantisca una reale tutela per chi lavora nella sanità.
Le aggressioni contro il personale sanitario
Questi atti continuano a rappresentare un’emergenza che non riguarda solo la sicurezza sul lavoro, ma una vera e propria minaccia al Sistema sanitario nel suo complesso.
Solo nel 2024, secondo i dati raccolti dal Ministero della Salute, oltre 2.000 episodi in Italia, con una media di sei aggressioni al giorno.
In Sicilia il fenomeno appare ancora più grave, con numerosi episodi avvenuti soprattutto nei Pronto Soccorso e nei servizi di emergenza territoriale.
L’ultima, in ordine cronologico, si è verificata il 14 aprile al Pronto soccorso di Vittoria, nel Ragusano: una donna di 25 anni ha aggredito un’infermiera e un carabiniere intervenuto per calmarla. L’arresto è stato convalidato, ma la giovane è stata rimessa in libertà poche ore dopo, con il solo obbligo di firma quotidiana, probabilmente solo perché ha chiesto scusa.
Ancora più amaro l’epilogo della vicenda di Enna, dove il 17 marzo un medico è stato colpito mentre era in servizio. Nonostante le testimonianze e le evidenze cliniche, la Procura ha chiesto l’archiviazione del caso. Una decisione che ha suscitato forti perplessità da parte dell’Ordine provinciale, che ha espresso formalmente la sua opposizione.
Sconcerto anche per quanto accaduto a Palermo, con due gravi episodi ravvicinati. Il 4 aprile, in via Perpignano, l’autista di un’ambulanza è stato aggredito dal paziente che aveva appena soccorso, rendendo necessario l’intervento di un secondo mezzo. Solo pochi giorni dopo, un nuovo episodio di violenza si è consumato a Brancaccio, dove i sanitari del 118 sono stati presi a calci e pugni durante un intervento d’urgenza, senza alcuna motivazione.
“Atti di follia”, li ha definiti Fabio Genco, direttore della centrale operativa del 118 Palermo-Trapani e consigliere dell’Ordine dei Medici di Palermo.
Le richieste
“Le pene esistono, ma chiediamo che vengano davvero applicate – tuona Amato -. I dati sono preoccupanti. Come presidenti degli Ordini dei medici in Sicilia, denunciamo con forza che troppo spesso le norme non vengono fatte rispettare da chi ha il dovere di applicarle. Chi danneggia un sanitario o il sistema sanitario deve essere sanzionato secondo quanto prevede la legge. Un semplice ‘mi dispiace’ non può bastare per chiudere tutto. Così come il medico è obbligato per legge a intervenire, allo stesso modo le istituzioni devono far rispettare le sanzioni previste”.
“Abbiamo più volte richiesto l’apertura di tavoli tecnici per affrontare seriamente il problema. Gli incontri ci sono stati, ma notiamo una scarsa recettività sul piano dell’esecuzione delle misure – aggiunge –. Se qualcuno aggredisce verbalmente o fisicamente un sanitario, la legge prevede una pena: non può essere archiviata solo perché il danno è stato considerato lieve. Lo stesso vale per chi distrugge beni pubblici, come un computer medico o una vetrata: non può restare impunito. La legge 56 del 2023, nata per rafforzare la protezione degli operatori sanitari rischia di perdere efficacia se non viene applicata con coerenza”.
“In passato ho proposto una sorta di Daspo per chi si rende responsabile di simili violenze. Oggi, alla luce dell’escalation, credo sia arrivato il momento di prenderlo seriamente in considerazione. E non solo per tutelare i sanitari, ma anche altre figure fondamentali per la tenuta sociale, come insegnanti e forze dell’ordine. Quando salute e istruzione vengono colpite, è in gioco la nostra civiltà – conclude -. Servono misure concrete: non soltanto repressive, ma anche capaci di indagare e affrontare le radici profonde di una violenza che ormai possiamo definire inaudita”.