Decimo articolo de IlSicilia.it sulla Relazione semestrale sull’anno 2024 della Direzione Investigativa Antimafia, presentata al Ministero dell’Interno e trasmessa alle Camere a fine maggio 2025.
Abbiamo riassunto e tracciato una mappa aggiornata della presenza mafiosa e la sua evoluzione in Sicilia, seguendo le direttrici indicate nel documento ufficiale.
I mandamenti della Sicilia centrale: le province di Caltanissetta, Enna e Agrigento
Ora il nostro sguardo si sposta sulla Sicilia centrale – Enna, Caltanissetta e Agrigento – per capire se, e come, la geografia criminale stia cambiando anche in quei territori che spesso restano fuori dai riflettori, ma che rappresentano snodi fondamentali nella rete invisibile del potere mafioso.
Dopo aver esplorato la trasformazione mafiosa nelle province costiere e metropolitane, con questo approfondimento entriamo nella Sicilia centrale, un’area meno esposta mediaticamente ma strategica per il collegamento tra Cosa nostra occidentale e le articolazioni orientali.
I territori di Enna, Caltanissetta e Agrigento mostrano segni di riorganizzazione, influenze residue delle storiche famiglie mafiose, e dinamiche emergenti legate a logistica, fondi europei e agroindustria. La Dia fotografa una presenza ancora attiva, non sempre appariscente, ma radicata nei territori e capace di adattarsi ai cambiamenti ambientali ed economici.
Il riassunto degli articoli precedenti
Nei primi articoli abbiamo raccontato la metamorfosi di Cosa nostra in una realtà sempre più mimetica, capace di infiltrarsi nei circuiti economici e istituzionali con il volto dell’imprenditoria.
Abbiamo analizzato le rotte del riciclaggio internazionale e i legami tra organizzazioni siciliane e gruppi criminali esteri.
Ci siamo poi soffermati sulle nuove generazioni criminali, tra baby gang e modelli mafiosi veicolati dai social, e sulle alleanze strategiche strette oltreconfine, con narcotrafficanti sudamericani e reti nigeriane.

Successivamente, abbiamo viaggiato attraverso i mandamenti dell’isola: Palermo e la sua provincia, Catania con la sua rete territoriale, Trapani dove l’antico potere mafioso si è riorganizzato tra agroindustria, turismo e appalti. E infine la Sicilia orientale: Siracusa, Ragusa e Messina, territori ibridi dove i vecchi clan si fondono con forme nuove di controllo silenzioso.
Il nuovo dinamismo riorganizzato nella provincia di Caltanissetta
La provincia di Caltanissetta rappresenta un territorio dalla forte valenza storica per Cosa nostra. La Relazione Dia 2024 (alle pagine 282-285) conferma la perdurante influenza dei clan gelesi, con dinamiche autonome e relazioni flessibili con organizzazioni criminali esterne, tra cui la ‘ndrangheta.
La città di Gela continua a essere un punto nodale nella geografia mafiosa del centro Sicilia, con un sistema di potere che, pur frammentato, mantiene controllo su traffici, appalti e attività economiche strategiche.
Secondo il rapporto, il gruppo Rinzivillo rimane una delle presenze criminali più strutturate, con ramificazioni che superano i confini provinciali.
Già oggetto di numerose indagini negli ultimi anni, il gruppo viene descritto come capace di ricostruire legami economici e relazionali nonostante i colpi giudiziari subiti. Gela è inoltre indicata come base per attività di riciclaggio di capitali, anche grazie alla collaborazione con soggetti imprenditoriali formalmente estranei al circuito mafioso.
Il centro storico nisseno registra una minore incidenza di reati mafiosi diretti, ma permane una rete di controllo e relazioni attorno ai settori dell’edilizia, dei rifiuti e dei trasporti. La DIA documenta il coinvolgimento di imprese locali in appalti pubblici che, pur non risultando oggetto di interdittive, presentano elementi di rischio connessi alla gestione opaca dei subappalti e alla presenza di prestanome.
In aumento, rispetto al semestre precedente, le segnalazioni per estorsioni nei confronti di commercianti e operatori economici locali, specie nei quartieri periferici di Gela e Niscemi. In quest’ultimo comune, la Dia ha monitorato una riorganizzazione di cellule locali, con contatti accertati con soggetti legati a famiglie catanesi.
Caltanissetta è anche al centro di interessi trasversali per il controllo del settore agroalimentare e della logistica interna, soprattutto per la sua posizione strategica tra l’entroterra e i porti del sud-est. La presenza di soggetti calabresi e campani in alcune compravendite immobiliari e nelle società di trasporto solleva sospetti di infiltrazioni finalizzate al riciclaggio, anche se non sempre accompagnate da procedimenti giudiziari.
Nel complesso, la provincia si presenta come un crocevia di poteri frammentati, dove la mafia non domina, ma negozia costantemente i suoi spazi di potere con la politica, l’impresa e la microcriminalità locale.
Provincia di Agrigento: zone d’ombra tra costa e entroterra
Nel territorio agrigentino, la Relazione Dia 2024 (pagine 278-282) individua una persistente presenza delle articolazioni tradizionali di Cosa nostra, soprattutto nel settore occidentale della provincia, in particolare tra Sciacca, Menfi e Ribera.
A Licata e Palma di Montechiaro, si registra invece una pressione crescente da parte di gruppi emergenti, spesso legati ad attività di traffico di droga e riciclaggio.
Alcuni di questi gruppi, secondo la Dia, avrebbero tentato di infiltrarsi nella gestione di fondi Pnrr destinati alla riqualificazione urbana e alla rigenerazione costiera.
Le modalità sono le consuete: imprese intestate a terzi, documenti falsi, e relazioni opache con soggetti pubblici.
Particolare attenzione viene dedicata alla zona di Canicattì, dove un’indagine del 2024 ha evidenziato un’associazione per delinquere dedita alla frode su appalti scolastici e manutenzioni pubbliche, con connessioni a ex referenti mafiosi locali. L’operazione, non nominata nella relazione, ha portato a diversi sequestri di beni riconducibili a professionisti e tecnici comunali.
Il territorio agrigentino è inoltre attraversato da flussi economici sospetti legati al turismo e alla ristorazione. Alcune strutture ricettive della Valle dei Templi sono state oggetto di verifica da parte della Dia per sospetti acquisti in contanti e passaggi societari tra soggetti legati a famiglie mafiose locali.
Nessun sequestro è stato eseguito nel periodo indicato, ma le indagini sono ancora in corso.
Sebbene non vi sia una pressione criminale omogenea su tutta la provincia, emergono diversi focolai di interesse mafioso, soprattutto nei settori:
-agricolo (esportazione ortofrutta);
-edilizio (opere pubbliche minori);
-logistica (trasporti terra-mare per il turismo);
-intermediazione finanziaria e societaria.
Agrigento, dunque, non è una provincia fuori dai radar. Al contrario, è un laboratorio a bassa intensità ma ad alta adattabilità, dove la criminalità organizzata si muove tra eredità storica e nuove opportunità, nel tentativo di ricostruire la propria forza in chiave economica e imprenditoriale.
Provincia di Enna: cerniera geografica e riserva logicista per altre organizzazioni
La provincia di Enna, per dimensioni e centralità geografica, si presenta nella Relazione Dia 2024 (alle pagine 285-286) come un territorio in cui la presenza mafiosa non si manifesta con forme eclatanti, ma si articola in una dimensione relazionale e di appoggio, soprattutto ai mandamenti limitrofi.
La Dia segnala il perdurare di collegamenti funzionali tra soggetti operanti in provincia di Enna e organizzazioni di Cosa nostra attive nelle province di Caltanissetta e Catania. In particolare, nei comuni di Leonforte, Piazza Armerina e Barrafranca, emergono intrecci tra interessi agricoli e reti di favoreggiamento.
Un esempio importante riguarda le attività connesse alla raccolta e gestione di fondi europei per l’agricoltura e lo sviluppo rurale. Secondo la Dia, nella zona sud della provincia sono attive cooperative agricole fittizie, utilizzate per presentare domande di finanziamento a nome di soggetti compiacenti. Si tratta di uno schema già osservato altrove: terreni intestati a prestanome, documentazione non veritiera, e circuiti di consulenza legati a professionisti locali.
Non risultano operazioni giudiziarie di grande rilievo nel 2024, ma la Dia osserva un aumento delle segnalazioni riguardanti gare d’appalto a livello comunale per manutenzioni stradali, interventi ambientali e servizi di trasporto scolastico.
In particolare, alcune imprese coinvolte in affidamenti diretti sarebbero riconducibili a soggetti con precedenti per reati contro la pubblica amministrazione.
La provincia presenta, inoltre, una vulnerabilità crescente sul fronte della manodopera agricola. La relazione evidenzia forme di caporalato non sempre riconducibili a strutture mafiose, ma agevolate da ambienti locali opachi, dove l’assenza di vigilanza e la debolezza dei controlli favoriscono pratiche illecite: orari irregolari, pagamenti in contanti, lavoratori stranieri privi di contratto.
Nel suo insieme, Enna rappresenta una riserva logistica e sociale per i sistemi mafiosi più forti. Non centro di comando, ma territorio funzionale, utilizzato per movimentazioni, rifugi, intermediazioni e supporto operativo. È anche una provincia in cui la percezione del rischio è più bassa, il che rende più difficile intercettare fenomeni d’infiltrazione, soprattutto nei settori dell’edilizia, dei servizi ambientali e dell’agricoltura agevolata.
Le zone interne della Sicilia: le frontiere del consenso mafioso che non si vede (ma è presente)
Il quadro complessivo finale che emerge dalla Relazione Dia 2024 per le province di Enna, Caltanissetta, Agrigento è quello di un territorio apparentemente meno esposto rispetto ai grandi centri criminali, ma tutt’altro che immune da infiltrazioni. La forza della mafia in queste aree è carsica: non sempre visibile, ma capace di infiltrarsi in ogni fessura del sistema economico e amministrativo.
L’assenza di eclatanti operazioni giudiziarie non deve indurre in errore. La presenza mafiosa si misura oggi attraverso i flussi di denaro, le reti professionali opache, l’uso sistemico del subappalto, la creazione di cooperative e società di comodo. La Dia segnala una tensione latente: le vecchie famiglie non sono scomparse, ma si ristrutturano, si mimetizzano, si legittimano attraverso gli strumenti dell’economia legale.
Servono quindi strumenti nuovi, coordinamento tra prefetture, Dia e amministrazioni locali in queste aree interne, apparentemente secondarie, che spesso si gioca il vero futuro del contrasto alla mafia: lì dove lo Stato è meno visibile, la mafia tenta di diventare sistema.