Nel bel mezzo del caos della politica siciliana, la settimana che si appresta alla chiusura, in fondo, non è poi tutta dimenticare. Stiamo parlando, infatti, di un passo storico e che potrebbe rivelarsi strategico per il futuro dell’Isola, per la quale adesso si aprono nuovi orizzonti. Da Roma è arrivato il via libera per la norma di attuazione dello Statuto siciliano in materia finanziaria. Una notizia certamente non piovuta dal cielo, ma giunta, mattoncino dopo mattoncino, grazie ad un lavoro certosino portato avanti dal Governo regionale in questi ultimi anni.
Tra i primi a darne annuncio è stato il presidente Renato Schifani, che ha espresso tutta la sua soddisfazione e incuriosito anche i meno esperti in materia, presentando il provvedimento come una norma “sulla scia del modello Portogallo“. Una spiegazione che da’ un’idea più chiara di quanto effettivamente questa “concessione”, non arrivata per caso, celi un significato più importante di quanto ci si possa immaginare. Sotto la lente di ingrandimento sono così finiti gli articoli 36 e 37 delle Statuto siciliano che si occupano proprio di materia finanziaria e che sono stati oggetto di studio e osservazione.

“La misura è subito operativa e consentirà alla Regione di adottare una propria politica fiscale. Una volta pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto legislativo la Regione potrà intervenire con norme che si ispirano a questi nuovi poteri attribuiti“. Ha spiegato l’assessore al Bilancio Alessandro Dagnino che ha ripercorso la strada compiuta dal Governo e del complesso procedimento di riforma delle norme di attuazione dello Statuto della Regione siciliana in materia finanziaria, contenute nel D.P.R. 26-7-1965 n. 1074 che è proseguito con “un atto della Commissione paritetica Stato Regione che stabilisce il testo normativo. Il nostro Statuto ha carattere pattizio nei confronti dello Stato e le norme di di attuazione vengono stabiliste alla competenza della Commissione. Poi è arrivato in Consiglio dei Ministri. Un atto che formalmente è una norma statale, ma che sostanzialmente è il frutto di un accordo tra Stato e Regione formalizzato dal passaggio della commissione paritetica. E’ un atto di natura pattizio, non una concessione ci fa lo Stato“.
A fare la differenza, affinché tutto andasse in porto, è stato lo stato di salute conti della Regione Siciliana: “Ci siamo arrivati perché mentre in passato la Regione si era presentata al confronto con lo Stato con conti non perfettamente in ordine, con gravi problemi di squilibrio finanziario, oggi – ha spiegato l’esponente della giunta Schifani – si presenta con le carte in regola, essendo una Regione che ha quasi del tutto azzerato il disavanzo“. Dagnino ha così riportato un esempio lampante: “Nel 2024 abbiamo registrato un rendiconto 2023 che recuperava il disavanzo per circa 3 miliardi di euro in un solo anno, residuando il disavanzo a 890 milioni. Speriamo di averlo colmato nel rendiconto 2024, ci auguriamo di approvare nelle prossime settimane. Ci presentiamo con un’accelerazione rispetto al piano di rientro dal disavanzo. L’impegno con lo Stato era di recuperare 400milioni l’anno e sul 2023 siamo addirittura arrivati a 3 miliardi. Una Regione che si presenta in una situazione di forte risanamento finanziario, ha un maggiore potere negoziale con lo Stato. Così ci è stata riconosciuta questa possibilità, che è stata soprattutto possibile grazie all’autorità e all’autorevolezza del presidente Schifani e del Governo nel suo complesso“.
Ma cerchiamo di capire meglio nel dettaglio cosa è cambiato.
L’articolo 36 dello Statuto siciliano sottoscrive che “al fabbisogno finanziario della Regione si provvede con i redditi patrimoniali della Regione e a mezzo di tributi, deliberati dalla medesima“. Negli anni, dal 1946 ad oggi, si è sempre avvertita l’esigenza che questo principio di autonomia finanziaria consentisse, in un certo senso, alla Regione, di essere artefice del proprio destino e stabile le proprie entrate secondo le esigenze del fabbisogno regionale. Già nel 1965, con il D.P.R. 26-7-1965 n. 1074 sono state attuate le norme di attuazione dello Statuto, con la previsione che alla Regione spettassero le entrate relative a tributi stabiliti dallo Stato per la quota riscossa nel territorio regionale. Questo determina una situazione tale che le scelte di politica fiscale adottate dal Parlamento nazionale vengano a refluire sulla casse regionali. Dunque, se lo Stato aumenta le tasse, alla Regione arrivano più soldi, se lo Stato le riduce alla Regione entrano meno soldi. Un esempio negli ultimi anni è stato rappresentato dall’Irpef, generando una variazione nella casse della Regione. In tal senso, la finanza regionale ad oggi è stata, sì basata su un principio particolare rispetto alle altre Regioni, ma le scelte degli organi statali si sono riversate sul bilancio regionale, diminuendo la possibilità di fare scelte autonome in materia fiscale.
Per permettere l’attuazione dell’autonomia sono stati aggiunti due commi nell’articolo 36. Si prevedono così tre possibilità. Per i tributi per i quali lo Stato prevede la possibilità di variare le aliquote, in base alla prima possibilità, la Regione può aumentare quest’ultime fino ad un tetto massimo fissato dalla legge statale, nel rispetto del principio di legalità in materia tributaria, o ridurle fino ad azzerarle. La seconda, sempre riguardo i tributi statali, è quella di introdurre deduzioni o detrazioni, cioè quelle variazioni che incidono sulle modalità di determinazione della cosiddetta base imponibile e dunque nell’ammontare della capacità contributiva su cui calcolare l’aliquota. La terza possibilità è quella di concedere incentivi e contributi attraverso la compensazione delle somme che la Regione intende riconoscere ai cittadini o alle imprese, in compensazione con i debiti fiscali dovuti dai cittadini e dalle imprese. Un punto importante, dietro il quale si cela maggiore flessibilità e la possibilità di agevolare notevolmente le azioni di trasferimento.
In senso strettamente pratico, tutto ciò servirà a promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale. L’obiettivo certamente quello è attrarre imprese e cittadini europei ed extraeuropei, introducendo, nei limiti delle normative statali ed europee, una fiscalità di sviluppo e compensativa unica nel panorama della finanza regionale italiana. Una norma che dà piena attuazione allo Statuto, ampliando le leve fiscali a disposizione della Sicilia.
Ma si guarda già al futuro e la Regione non si sarebbe fatta trovare impreparata. L’assessore Dagnino, infatti, ha spiegato come siano “già in preparazione una serie di interventi che spenderemo nelle prossime leggi di natura finanziaria. Faremo un pacchetto di misure per dare attuazione ed esercitare in concreto questa nuova possibilità. La stampa ha riportato l’esempio del Portogallo, ma in realtà la norma non parla nello specifico del “caso Portogallo”. E’ sicuramente uno dei modelli. Potremmo fare tante cose a favore delle imprese, per una maggiore attrattività per gli investimenti. Vorremmo affrontare anche la perdita di capitale umano, che è un problema annoso che ha portato effetti negativi per l’economia siciliana, soprattutto facendo riferimento ai giovani che emigrano“.
Infine, Dagnino ha espresso tutta la sua soddisfazione per l’obiettivo raggiunto e per il quale ora bisognerà rimettersi subito al lavoro per dare un pieno senso e significato a questo passo: “La Regione potrà finalmente adottare una propria politica fiscale e dare contenuto pratico a quell’autonomia finanziaria tanto auspicata dal 1946 ad oggi. E’ un risultato storico“.