La febbre del Nilo occidentale torna a preoccupare in Italia, che si conferma il Paese più colpito in Europa per numero di casi segnalati, con un’incidenza elevata soprattutto tra gli over 65. Dall’inizio dell’anno sono stati confermati dieci casi di infezione da West Nile Virus nell’uomo, sette dei quali nel Lazio, tutti concentrati nella provincia di Latina. A rendere noti i dati è l’Istituto Superiore di Sanità, all’indomani della morte di un’anziana ricoverata all’ospedale di Fondi. La donna, 82 anni, è deceduta il 20 luglio a causa di gravi complicanze neurologiche riconducibili all’infezione.
In Italia, è quindi ormai considerata endemica, con focolai stagionali che si concentrano tra luglio e ottobre, specie nelle regioni del Nord e del Centro. I dati epidemiologici raccolti dall’Istituto Superiore di Sanità segnalano che nel corso del 2024 si sono verificati 455 casi confermati di infezione umana da West Nile Virus, con 21 decessi, rendendo l’Italia il paese europeo con il maggior numero di casi segnalati.
Il virus e i fattori ambientali
“La febbre del Nilo occidentale (West Nile Fever) è una zoonosi virale causata da un arbovirus appartenente alla famiglia Flaviviridae. Si tratta di una malattia infettiva trasmessa dagli animali all’uomo, il cui principale vettore è la zanzara del genere Culex – spiega Antonio Cascio, professore e direttore del reparto di Malattie Infettive del Policlinico di Palermo -. Il 2025 si sta confermando un anno particolarmente favorevole alla trasmissione precoce del West Nile Virus (WNV), grazie a una combinazione di fattori climatici e ambientali. Le temperature elevate, le piogge mal distribuite e la presenza precoce delle zanzare stanno contribuendo alla diffusione del virus. Quando le temperature superano i 22–24°C, il ciclo di incubazione del virus nelle zanzare si riduce, accelerando la trasmissione. Inoltre, le piogge intense seguite da ondate di caldo creano accumuli di acqua stagnante, favorendo la proliferazione delle zanzare. Anche gli spostamenti e la nidificazione anticipata degli uccelli migratori, che sono serbatoi naturali del virus, stanno contribuendo all’amplificazione del ciclo di trasmissione”.
Aree a rischio in Italia
“Le aree più colpite in Italia sono quelle della Pianura Padana, in particolare Veneto, Emilia-Romagna, Lombardia, Piemonte e Friuli Venezia Giulia. Anche Toscana, Lazio, Sardegna, Puglia e Sicilia presentano un certo rischio, sebbene con una minore frequenza di casi – prosegue –. Il rischio è più elevato nelle regioni dove si registra una forte presenza di zanzare Culex e un’abbondante popolazione di uccelli selvatici, che fungono da serbatoio naturale del virus. Le attività agricole e l’urbanizzazione in aree umide, come le risaie, favoriscono il contatto tra zanzare, uomo e animali, creando condizioni ideali per la trasmissione”.
“Sebbene nel 2025 non siano stati segnalati casi in Sicilia, la sorveglianza resta essenziale. Il virus può facilmente raggiungere queste aree, come è già avvenuto in passato – aggiunge –. Il monitoraggio entomologico, attraverso trappole e test PCR sulle zanzare Culex, consente di rilevare precocemente la circolazione virale. Altrettanto importanti sono la sorveglianza veterinaria e quella clinica sui casi sospetti di encefalite e meningite, utili per una diagnosi tempestiva dell’infezione”.
“Esiste una correlazione diretta tra l’aumento delle temperature estive e l’incremento dei casi neuroinvasivi da WNV – sottolinea -. Il caldo accelera la replicazione del virus nelle zanzare, aumentando il rischio di trasmissione all’uomo. Non è il calore a causare direttamente le forme gravi, ma l’amplificazione della trasmissione virale che ne deriva comporta un maggior numero di infezioni severe, in particolare tra gli anziani e le persone immunodepresse”.
Diagnosi tempestiva delle forme gravi
“Una delle principali difficoltà nella diagnosi tempestiva delle forme gravi di infezione da West Nile Virus è l’assenza di protocolli diagnostici uniformi, a cui si aggiunge la scarsa sospettabilità clinica, soprattutto nelle aree a bassa incidenza storica. Le encefaliti estive vengono spesso confuse con altre patologie, ritardando l’identificazione dell’agente eziologico. Inoltre, in molte regioni la sorveglianza entomologica e veterinaria è discontinua, ostacolando il rilevamento precoce della circolazione virale – evidenzia –. Le forme neuroinvasive del virus – encefalite, meningite e mielite – si caratterizzano per sintomi neurologici severi, come febbre alta persistente, stato confusionale, tremori e, nei casi più gravi, paralisi. A essere maggiormente esposti al rischio di complicanze sono gli anziani, i soggetti immunocompromessi, i pazienti diabetici e quelli con patologie cardiovascolari”.
“Al momento non esiste un trattamento antivirale specifico per il West Nile Virus. La gestione clinica è unicamente di supporto e mira al trattamento delle complicanze neurologiche. L’assenza di un vaccino per l’uomo – disponibile invece per i cavalli – rende fondamentale il ricorso a misure preventive, sia individuali, come l’uso di repellenti, abbigliamento adeguato e la rimozione dei ristagni d’acqua, sia istituzionali, attraverso programmi strutturati di sorveglianza entomologica, disinfestazione e monitoraggio veterinario”.
La prevenzione
“Regioni come la Sicilia, dove nel 2025 non sono ancora stati segnalati casi umani, devono comunque attivare misure preventive tempestive. Tra le priorità vi sono sorveglianza entomologica, diagnosi precoce e sensibilizzazione di medici e cittadini. È fondamentale promuovere anche la protezione personale, soprattutto per le persone più fragili, attraverso l’uso di repellenti, abbigliamento adeguato e reti protettive – ribadisce -. La partecipazione attiva della popolazione è determinante per ridurre il rischio di trasmissione. Ogni cittadino può contribuire eliminando i ristagni d’acqua, proteggendosi efficacemente e tutelando in particolare anziani e immunodepressi. Una corretta profilassi ambientale e comportamentale può abbattere il rischio di infezione fino all’80%. Il sistema sanitario nazionale dispone oggi di una rete di sorveglianza e risposta integrata, ma permangono criticità nelle regioni non storicamente endemiche. In questo contesto, l’approccio ‘One Health’, che unisce sorveglianza umana, veterinaria ed entomologica, si conferma la strategia più efficace per anticipare i focolai e contenere la diffusione del virus”.
Progresso nella ricerca e prospettive future
“Anche se non esiste ancora un vaccino approvato per l’uomo, la ricerca scientifica sta compiendo progressi significativi. Diversi candidati vaccinali sono attualmente in fase di sperimentazione clinica. Alcuni vaccini veterinari, invece, sono già autorizzati e impiegati con successo per la protezione dei cavalli, particolarmente sensibili all’infezione. L’eventuale disponibilità futura di un vaccino umano rappresenterebbe un passo decisivo per la prevenzione nelle aree ad alta endemia”, conclude.