Nel 2024, l’Italia ha raggiunto un traguardo storico: per la prima volta, la quota di giovani che abbandonano prematuramente gli studi è scesa sotto la soglia del 10%.
È un dato che segna il superamento dell’obiettivo fissato dall’agenda europea per il 2020 e ci avvicina a quello più ambizioso del 9% per il 2030. Un successo nazionale, frutto di un decennio di progressi costanti, che meriterebbe di essere celebrato senza riserve.
L’analisi è stata realizzata dall’Osservatorio #Conibambini (realizzato da Con i Bambini e Openpolis nell’ambito del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile), con dati pubblicati a settembre 2025.
E invece, in un Paese che continua a muoversi a due velocità, la festa non può essere completa. In questo quadro di miglioramento complessivo, la Sicilia si distingue negativamente, con un tasso di abbandono che supera ancora il 15%. Una cifra che non è solo una statistica, ma l’espressione di un profondo divario territoriale e di un’emergenza sociale e formativa che richiede un’attenzione specifica e non può essere ignorata.
IlSicilia.it ha analizzato i dati del report e in particolare quelli siciliani per mostrare le forti differenze e difficoltà territoriali che emergono e che pongono domande e dubbi sullo stato attuale e sulle proposte per il futuro che richiedono un attenzione a tutti i livelli (nazionale, regionale e locale).
Il fenomeno dell’abbandono scolastico: un fallimento formativo che va oltre il singolo
Il fenomeno dell’abbandono scolastico non può essere ridotto a un mero numero. Va compreso nella sua complessità, come un vero e proprio fallimento formativo che ha ripercussioni non solo sulla vita dei singoli individui, ma sull’intera società. Rientrano in questa definizione tutti i giovani che lasciano gli studi con al massimo la licenza media, senza conseguire ulteriori titoli di studio o qualifiche professionali. Lasciare la scuola prima del tempo non è mai una scelta isolata, ma è spesso il risultato di un percorso di difficoltà che ha radici profonde.
Questi ragazzi provengono sovente da contesti sociali ed economici più svantaggiati, dove la povertà e la precarietà limitano le opportunità di crescita e rendono lo svantaggio una condizione ereditabile. Di conseguenza, un giovane senza un titolo di studio superiore si ritrova con maggiori difficoltà a inserirsi nel mondo del lavoro, aumenta il rischio di disoccupazione e, in ultima analisi, può finire per scivolare nell’esclusione sociale. È un ciclo vizioso che si auto-alimenta e che, in ultima analisi, impoverisce il capitale umano del Paese.
A complicare il quadro, si aggiunge il fenomeno della dispersione implicita. Questa si manifesta quando uno studente, pur riuscendo a terminare il percorso scolastico e a ottenere un diploma, non acquisisce le competenze adeguate. Questo tipo di dispersione è un segnale d’allarme che i test Invalsi ci aiutano a misurare e che indica un sistema educativo incapace di garantire a tutti gli stessi strumenti per affrontare il futuro. In molti casi, la dispersione implicita precede quella esplicita, poiché la frustrazione derivante dal non comprendere e dall’ottenere scarsi risultati mina la motivazione e la fiducia in sé stessi, portando alla fine all’abbandono. È un problema che la pandemia ha accentuato, rendendo ancora più evidente come il titolo di studio non sia sempre garanzia di apprendimento reale.
Il divario territoriale che emerge: i dati della Sicilia
Se l’Italia, nel suo complesso, ha intrapreso un cammino di miglioramento, la fotografia del Paese mostra profonde differenze tra le regioni. La Sicilia, in questo contesto, rappresenta l’eccezione negativa: nonostante il trend generale, l’isola registra un tasso di abbandono scolastico superiore al 15%. Questo valore contrasta nettamente con l’incidenza in regioni come Toscana, Piemonte, Emilia-Romagna, Lombardia e Lazio, dove la quota è già inferiore al 9%, a dimostrazione di come la lotta alla dispersione scolastica sia stata affrontata in modo differente sul territorio nazionale. La stessa Sardegna si attesta poco sotto il 15%, così come la provincia autonoma di Bolzano.
Le regioni meridionali come la Campania si trovano intorno al 13%, mentre Calabria e Puglia si stanno avvicinando all’obiettivo del 9%, con tassi rispettivamente del 10,8% e del 9,9%.
L’analisi dei dati Invalsi, che permette di valutare la dispersione implicita, conferma ulteriormente i divari e mostra in maniera ancora più cruda la situazione siciliana. Tra le città con il più alto tasso di studenti di terza media con apprendimenti totalmente inadeguati, le città siciliane si distinguono negativamente. A Palermo e Trapani, quasi uno studente di terza media su quattro, il 25%, termina il primo ciclo di istruzione con un livello di apprendimento paragonabile a quello di un bambino di quinta elementare.
Altre città siciliane che figurano in posizioni allarmanti in questa classifica sono Agrigento e Catania, confermando una tendenza diffusa su tutta l’isola e non limitata a singole realtà. Sebbene una classifica completa di tutte le città siciliane non sia disponibile nei dati forniti, è chiaro che la problematica si estende su tutto il territorio regionale.
In netto contrasto, città come Siena, Macerata, Avellino, Perugia e Belluno registrano un’incidenza di apprendimenti inadeguati che non supera l’8% degli studenti. Questo confronto impietoso evidenzia come le disuguaglianze educative siano ancora molto marcate e come la qualità dell’istruzione non sia la stessa in ogni parte del Paese. Un altro fattore che contribuisce a spiegare le differenze interne al Paese è il grado di urbanizzazione. A livello nazionale, l’abbandono scolastico sfiora l’11% nelle città e nelle aree urbane a più alta densità di popolazione, mostrando una maggiore criticità rispetto ai comuni a densità intermedia, dove il fenomeno è più contenuto (8,8%).
I progressi nazionali ed europei: la media migliora
Nonostante i divari interni, è innegabile che l’Italia abbia compiuto un passo in avanti significativo nel panorama europeo. Se nel 2014 il nostro tasso di abbandono superava di quasi 4 punti percentuali la media dell’Unione Europea, oggi la differenza è di appena 0,5 punti, con la media europea che si attesta al 9,3%. A contribuire maggiormente a questo miglioramento sono stati i Paesi mediterranei, che partivano da livelli di abbandono molto elevati. Il Portogallo, per esempio, ha registrato un calo impressionante di 10,7 punti, passando dal 17,3% al 6,6%, mentre la Spagna ha ridotto il suo tasso di 8,9 punti.
L’Italia, con una diminuzione di 5,2 punti percentuali, ha scalato posizioni e si posiziona ora all’ottavo posto in Europa per incidenza del fenomeno. Questo dimostra che, sebbene ci sia ancora molto da fare, gli sforzi compiuti a livello nazionale stanno dando i loro frutti, ma devono essere intensificati nelle aree più fragili per garantire un progresso equo.
Le cause profonde: il contesto socio-economico del Sud Italia
Le ragioni dietro l’alto tasso di abbandono in Sicilia sono complesse e si intrecciano con il tessuto socio-economico della regione e del Sud in generale. Spesso, il problema non è solo la scuola, ma il contesto in cui lo studente vive.
Le regioni meridionali, con economie più deboli, alti tassi di disoccupazione giovanile e livelli di povertà più elevati, offrono meno opportunità e un ambiente meno stimolante per la crescita formativa. Le famiglie in difficoltà economica hanno meno risorse da dedicare all’istruzione dei figli, e la mancanza di un sostegno esterno (corsi, attività culturali, ecc.) può amplificare le fragilità. Questa precarietà può spingere i giovani a lasciare la scuola per cercare un lavoro, spesso non qualificato e con poche prospettive, finendo per perpetuare un ciclo di marginalità e svantaggio che si tramanda di generazione in generazione.
La dispersione implicita gioca un ruolo determinante. I dati sull’apprendimento ci dicono che in molte città del Sud la scuola non riesce a dare agli studenti le competenze minime di cui avrebbero bisogno per il loro futuro. Questo fallimento del sistema genera frustrazione e disaffezione, rendendo l’abbandono una conseguenza quasi naturale.
Quando la scuola non rappresenta un luogo di successo e di realizzazione, il rischio che un ragazzo la lasci aumenta drasticamente. I bassi rendimenti scolastici, le bocciature, la difficoltà di sentirsi parte di un percorso che sembra non portare a nulla sono tutti elementi che contribuiscono a spiegare l’incidenza dell’abbandono.
Inoltre, la mancanza di dati disaggregati a livello locale (comunale o di quartiere) rende quasi impossibile un’analisi mirata del problema. Molti dati risalgono ancora al censimento del 2011, e non offrono una fotografia aggiornata delle dinamiche locali, che invece sono fondamentali per interventi efficaci. L’assenza di dati precisi impedisce di identificare le zone a rischio e di intervenire con politiche mirate.
Conclusioni e proposte: quale futuro da costruire?
I dati dimostrano un progresso nazionale tangibile nella lotta all’abbandono scolastico, ma allo stesso tempo mettono in luce l’emergenza dei divari territoriali, di cui la Sicilia è un esempio emblematico. La lotta all’abbandono precoce non può più limitarsi a statistiche nazionali, ma deve diventare un’azione mirata e capillare, in particolare nelle aree e nelle città dove il fenomeno è più radicato.
La Fondazione Con i Bambini e Openpolis, attraverso il loro Osservatorio, hanno un ruolo fondamentale in questo senso, fornendo analisi e dati aperti hanno stimolato un dibattito informato e avanzato proposte tecniche per orientare le decisioni.
Tra le proposte avanzate da questi organismi e desumibili dall’analisi dei dati, vi è la necessità di potenziare il monitoraggio locale. Solo con dati disaggregati a livello di quartiere o comune è possibile individuare le aree a rischio e definire politiche pubbliche mirate e tempestive.
L’istituzione di osservatori sulla dispersione a livello comunale o di quartiere, come il modello virtuoso di Napoli, potrebbe fornire alle amministrazioni gli strumenti necessari per individuare le aree a rischio e intervenire in modo mirato e tempestivo. Le politiche educative devono inoltre concentrarsi non solo sul recupero degli abbandoni, ma anche sulla prevenzione, agendo sui fattori che causano la dispersione implicita.
L’investimento in programmi che rafforzino le competenze di base fin dalle scuole primarie e medie è cruciale, così come lo è il sostegno alle famiglie in difficoltà socio-economica. Solo un’azione congiunta che affronti le cause profonde del fenomeno, con la partecipazione di istituzioni, scuole, famiglie e comunità, potrà spezzare il ciclo di svantaggio che penalizza i giovani siciliani e, con loro, il futuro dell’intera regione e del Paese.
Il Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile, che finanzia l’Osservatorio, rappresenta una delle risposte concrete a questa problematiche, sostenendo progetti e iniziative che mirano a colmare le lacune educative e a offrire nuove opportunità ai minori in condizioni di svantaggio.
Nonostante gli incoraggianti dati nazionali quindi è importante tenere presenti a livello politico che la battaglia contro l’abbandono scolastico in Italia non è vinta. È a metà del suo percorso, con una meta chiara ma ancora lontana per troppi giovani.
L’Italia non potrà considerarsi un Paese equo finché il luogo di nascita continuerà a determinare in modo così significativo il percorso educativo e le opportunità di vita di una persona.
Fonti e nota metodologica
Il report si basa sui dati e sulle analisi pubblicate nell’ambito dell’Osservatorio #Conibambini, un progetto realizzato da Con i Bambini e Openpolis con il supporto del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile.
I dati invalsi della Sicilia sono a questo link
La metodologia adottata da questo osservatorio si concentra sull’approfondimento del fenomeno dell’abbandono scolastico in Italia, non solo in termini di dati espliciti (i giovani che lasciano prematuramente gli studi), ma anche di dispersione implicita (gli studenti che, pur terminando il ciclo di studi, non acquisiscono le competenze fondamentali).
Per la rilevazione dei dati, l’Osservatorio si avvale principalmente delle statistiche dell’Eurostat e dell’Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione (Invalsi), in particolare per quanto riguarda i test di apprendimento al termine del primo ciclo di istruzione. La scelta di utilizzare dati aperti e sistematici, nel formato del data journalism, ha l’obiettivo di stimolare un’informazione basata su fatti concreti e di promuovere un dibattito informato sulla condizione dei minori e sulle opportunità educative, culturali e sociali in Italia.