Ci sono autori antichi che sembrano condannati a restare nelle biblioteche, citati nei manuali universitari ma lontani dall’urgenza del presente. E ce ne sono altri che, letti con attenzione, sorprendono per la capacità di interpretare fenomeni che ancora oggi plasmano la politica e la storia mondiale.
Polibio appartiene a questa seconda categoria e IlSicilia.it, in un ciclo di articoli dedicato alle opere dello storico greco d’età ellenistica, offre una lente per il presente per comprendere gli imperi, la loro ascesa e il declino.
Dal racconto di Roma al nostro tempo per comprendere l’avvento del multilateralismo e di nuove leadership globali nel mondo odierno
Polibio, lo storico che spiegò il “potere”
Storico greco del II secolo a.C., Polibio è una delle figure più affascinanti del pensiero politico antico. Nato a Megalopoli, in Arcadia, attorno al 206 a.C., crebbe in un mondo in cui Roma stava progressivamente conquistando l’egemonia sul Mediterraneo. Figlio di Licorta, stratego della Lega achea, ebbe un ruolo politico e militare di primo piano nella confederazione ellenica, ricoprendo la carica di ipparco, capo della cavalleria.
La sua vita cambiò radicalmente nel 166 a.C., quando – dichiaratosi neutrale nella guerra tra la Macedonia di Perseo e Roma – fu deportato a Roma come ostaggio insieme ad altri mille nobili achei. Vi rimase diciassette anni. L’esilio forzato, però, si trasformò in un’opportunità: grazie ai contatti con l’aristocrazia romana e in particolare con la famiglia degli Scipioni, Polibio divenne un osservatore privilegiato della potenza romana.
Fu testimone diretto di eventi decisivi come la caduta di Cartagine e di Corinto nel 146 a.C., anno che segnò la piena affermazione di Roma come potenza egemone.

Lo stesso anno, dopo la battaglia di Corinto, tornò in Grecia e, forte delle conoscenze sviluppate nel corso della sua permanenza a Roma, si batté perché le condizioni della sua patria, ormai Provincia romana, fossero meno pesanti e ottenne il compito di riorganizzare le città sotto la nuova forma di governo.
Morì in Grecia, a 82 anni, dopo una caduta da cavallo.
“Le Storie”: una bussola per il presente
Sono l’opera più importante di Polibio, scritta con l’obiettivo di documentare la storia universale nel periodo tra il 220 a.C. e il 146 a.C, con un prologo che si estende fino al 264 a.C. dedicato alla storia di Roma. L’intera opera era incentrata su Roma e sul suo percorso verso l’egemonia del Mediterraneo.
Quando Polibio intraprese la stesura delle sue “Storie”, non aveva l’obiettivo di creare soltanto un archivio di battaglie e trattati. La sua ambizione era molto più ampia: fornire alle generazioni future una chiave di lettura per comprendere i meccanismi del potere e l’evoluzione delle società. In questo senso, l’opera si distingue da altre cronache del mondo antico: non è un semplice racconto, ma una vera analisi delle forze che determinano ascesa e declino degli Stati.

Uno dei concetti centrali è quello dell’anaciclosi, il ciclo delle costituzioni. Polibio descrive la trasformazione inevitabile delle forme di governo: dalla monarchia alla tirannide, dall’aristocrazia all’oligarchia, dalla democrazia all’oclocrazia, in un eterno ritorno scandito dalla corruzione interna e dall’incapacità delle élite di mantenere un equilibrio. È un’idea che conserva un’attualità sorprendente: basti pensare alle difficoltà di molte democrazie contemporanee, alle derive autoritarie in paesi che si dichiaravano aperti e pluralisti, o alle tensioni sociali che nascono quando la partecipazione popolare si trasforma in caos.
Accanto alla riflessione politica, Polibio sottolinea l’importanza del fattore militare e della strategia nelle dinamiche di potere. Non a caso dedica ampio spazio alla crescita di Roma, spiegando come la disciplina, la capacità di adattamento e la costruzione di alleanze abbiano permesso alla città di trasformarsi in una potenza mondiale. Qui emerge un’altra lezione: non esistono imperi eterni, ma equilibri che cambiano secondo la capacità di rispondere alle sfide del tempo.

Un terzo aspetto cruciale riguarda la sua idea di storia universale. Polibio non narra vicende isolate, ma intreccia eventi lontani per dimostrare come le sorti di popoli diversi siano collegate da fili invisibili. Nel mondo globalizzato di oggi, questa visione appare quasi profetica: crisi finanziarie che si propagano da un continente all’altro, guerre locali con ripercussioni planetarie, flussi migratori che modificano equilibri sociali e politici.
“Le Storie” sono quindi un laboratorio di metodo e contenuto. Polibio insiste sul rigore della ricerca, sull’importanza di testimonianze dirette e sull’analisi razionale degli eventi. È un approccio che anticipa la storiografia moderna e che, al tempo stesso, si presta a illuminare i dilemmi del presente: come evitare la degenerazione della democrazia, come gestire il rapporto tra potere politico e militare, come interpretare un mondo in cui ogni crisi ha effetti globali.
In questo senso, Polibio non appartiene solo al passato. Le sue pagine, scritte più di duemila anni fa, restano un manuale per leggere il nostro tempo e un punto di partenza per riflettere sui rischi e le possibilità del futuro.
L’opera, in origine composta da 40 libri e sconosciuta fino al XIV secolo, è giunta a noi solo in parte. Si hanno per intero i primi cinque libri, gran parte dei libri VI-XVIII tramite epitomi e i restanti grazie a frammenti di varia lunghezza. I libri I-V, ancora disponibili per intero, costituiscono in parte l’introduzione e lo sfondo degli anni su cui Polibio vuole concentrarsi, trattando questioni riguardanti le nazioni più importanti dell’epoca (Egitto, Grecia e Spagna); in parte si concentrano con particolare attenzione su prima e seconda guerra punica.
Infine, Polibio è uno dei primi a presentare la storia come una sequenza di cause ed effetti. La visione della storia di Polibio, complessivamente, è una visione unificata e l’impressione finale che si trae dalle Storie non è quella di una cronologia, ma di una trattazione che si concentra sul comportamento umano, raccogliendone tutte le essenze nei momenti di crisi di un impero: nazionalismi, brutalità, guerre e aspre battaglie, intelligenza, valore, razzismi, doppiezze politiche, lealtà estreme.
Perché Polibio oggi?
Per secoli la sua riflessione è rimasta sullo sfondo rispetto a figure come Platone o Aristotele, ma la modernità sembra avergli restituito centralità. Nel XXI secolo, mentre le democrazie occidentali attraversano una fase di fragilità, mentre la guerra torna a sconvolgere l’Europa e mentre emergono nuove potenze pronte a ridisegnare gli equilibri internazionali, l’analisi di Polibio appare più attuale che mai.
Guardare alla politica attraverso la lente polibiana significa leggere le crisi non come eventi eccezionali, ma come passaggi di un ciclo naturale. Le proteste dei gilet gialli in Francia, le rivolte contro le misure economiche in Nepal, i colpi di Stato in Africa occidentale, le polarizzazioni che dividono gli Stati Uniti, l’Inghilterra, la Germana o l’Italia non sono, in questa prospettiva, sintomi isolati, ma tappe di una trasformazione più ampia. Sono momenti che segnalano l’esaurirsi di una forma di governo e l’avvento di un’altra.
Ecco perché riprendere Polibio oggi non è un esercizio erudito: è un modo per cercare chiavi di lettura a una fase storica segnata da incertezze. Le sue opere non forniscono soluzioni pronte, ma offrono una griglia interpretativa con cui provare a decifrare la spirale di instabilità che attraversa il mondo.
Con questo spirito nasce la serie di articoli che presentiamo: cinque appuntamenti per mettere in dialogo la riflessione di Polibio con i nodi più urgenti della nostra contemporaneità. Una bussola antica per orientarsi tra le tempeste del presente.
L’anaciclosi e i cicli della politica
Il concetto centrale della riflessione di Polibio è l’anaciclosi, il ciclo attraverso cui le forme di governo si susseguono in modo ricorrente. Ogni sistema politico, secondo lo storico greco, nasce da una spinta positiva ma tende col tempo a corrompersi, generando la forma opposta o degenerata.
La monarchia si trasforma in tirannide; l’aristocrazia in oligarchia; la democrazia in oclocrazia, cioè nel dominio delle masse disordinate, preludio a un nuovo ciclo.
Questa visione, apparentemente pessimistica, è in realtà un invito alla lucidità: i regimi non sono eterni, ma soggetti a logoramento. Ed è proprio questa consapevolezza che sembra utile oggi, in un’epoca in cui la fiducia nella democrazia vacilla.
Prendiamo gli Stati Uniti, dove la polarizzazione politica ha raggiunto livelli drammatici: la contestazione dei risultati elettorali, l’assalto al Campidoglio nel gennaio 2021, la radicalizzazione delle campagne presidenziali del 2024, fino alle divisioni sociali sul controllo delle armi, sull’aborto e i profondi cambiamenti all’interno delle istituzioni.
In ottica polibiana, questo non è un incidente ma il segno di una democrazia in fase di degenerazione, che rischia di trasformarsi in oclocrazia: il potere di masse disgregate, guidate più dall’emotività e dalla propaganda che dalla razionalità istituzionale.
Lo stesso discorso si può fare per l’Europa. In Francia, le proteste dei gilet gialli prima, quelle contro la riforma delle pensioni e il movimento “Bloquons Tout” degli ultimi giorni poi hanno mostrato negli anni un distacco crescente tra cittadini e istituzioni. In Italia e Germania, i partiti antisistema e populisti hanno guadagnato terreno, mentre i governi faticano a mantenere stabilità.
Polibio avrebbe letto questi eventi come la naturale trasformazione della democrazia in una sua forma corrotta, generando instabilità e spingendo verso nuovi equilibri.
Non mancano esempi fuori dall’Occidente. Le rivoluzioni colorate in Georgia e Ucraina, i colpi di Stato in Mali, Niger e Burkina Faso, le recenti violente rivolte della “Generazione Z” in Nepal: tutte manifestazioni che confermano la ciclicità della storia politica, con governi che cadono e nuovi poteri che emergono, spesso in forme non pienamente democratiche.
La guerra in Ucraina, poi, rappresenta un caso emblematico: un conflitto che non riguarda solo territori, ma il modello politico da affermare, tra autocrazie in ascesa e democrazie in difficoltà.
Il presente geopolitico e l’analisi polibiana
Polibio non si limitò a descrivere i cicli interni delle città-stato: il suo interesse si rivolse anche ai rapporti di forza internazionali. Egli fu tra i primi a sottolineare come le potenze emergenti, grazie a una combinazione di istituzioni solide e capacità militare, finiscono per dominare gli scenari regionali e globali. Roma, nella sua epoca, incarnava questa dinamica.
Oggi la scena mondiale ci offre una situazione analoga. Gli Stati Uniti, potenza egemone dal secondo dopoguerra, mostrano crepe sempre più evidenti: crisi politiche interne, divisioni sociali, difficoltà nel mantenere il ruolo di garante dell’ordine internazionale. Al tempo stesso, nuove potenze si affermano, prime fra tutte la Cina, e a seguire Russia, India, Brasile che con la proposta di un multilateralismo alternativo punta a riorientare l’ordine globale.
In Africa, il ritorno dei colpi di Stato e il riemergere di tensioni geopolitiche legate alle risorse naturali ricordano i cicli di instabilità descritti da Polibio. Ogni volta che un governo crolla, un altro tenta di imporsi, ma la fragilità istituzionale sembra rendere inevitabile la ripetizione del ciclo.
In Europa orientale, la guerra in Ucraina rappresenta lo scontro tra due modelli di potere: da un lato, un sistema democratico fragile e sostenuto dall’Occidente; dall’altro, un’autocrazia che rivendica la sua legittimità storica e geopolitica. È un conflitto che può essere letto come l’espressione di una fase avanzata dell’anaciclosi, dove le forme di governo entrano in collisione per ridefinire la direzione del ciclo storico.
Polibio nel presente: il ciclo di articoli
Questo primo articolo ha lo scopo di introdurre la figura di Polibio e di mostrare come la sua analisi possa illuminare le crisi del presente. Ma la riflessione non si ferma qui. Nei prossimi quattro articoli (che usciranno ogni sabato mattina) entreremo nel dettaglio di altrettanti temi cruciali:
1. Cicli politici e crisi delle democrazie occidentali – un approfondimento sull’anaciclosi applicata agli Stati Uniti e all’Europa.
2. Proteste e rivoluzioni nel mondo – dalla Francia al Nepal, dalle rivoluzioni colorate in Europa orientale ai colpi di Stato africani.
3. Guerra e imperi, multilateralismo e nuove egemonie – l’analisi polibiana del potere militare e il parallelo con la guerra in Ucraina e la competizione globale. Come la Cina e altri attori cercano di costruire un nuovo ordine internazionale.
4. Il futuro della politica globale – riflessioni conclusive su come i cicli polibiani possano aiutare a prevedere le prossime trasformazioni.

L’obiettivo non è ridurre la complessità del presente a uno schema rigido, ma usare Polibio come lente interpretativa. La sua forza è proprio questa: permetterci di osservare con distacco storico i nostri conflitti, le nostre paure, i nostri entusiasmi.
Concludendo, si potrebbe dire che se Roma fu per Polibio la prova vivente della sua teoria, oggi il mondo intero – dall’America divisa all’Europa in protesta, dall’Africa instabile all’Asia emergente – è il laboratorio in cui le sue idee continuano a mostrare vitalità.