Nelle scorse settimane il Governo nazionale ha compiuto un passo tanto importante quanto atteso: il riconoscimento e la promozione delle zone montane e delle loro popolazioni. Se negli ultimi anni alcune emergenze hanno colpito l’Italia, come quella relativa alla natalità, o alcune tematiche hanno richiesto degli approfondimenti più specifici, vista la repentina mutazione di specifici settori, è il caso del turismo o della comunicazione, all’interno dei confini di queste aree tali difficoltà sono state acuite e amplificate proprio a causa delle loro peculiarità geografiche. E la Sicilia è tra le Regioni che meglio comprende queste problematiche, che partono dallo spopolamento fino all’accessibilità dei servizi.
Il ddl Montagna, portato avanti dal ministro per gli Affari regionali e le autonomie, Roberto Calderoli, si inserisce così in un contesto multidisciplinare, prevedendo una serie di aiuti di carattere trasversale, dalla sanità all’istruzione, dalla conservazione e protezioni degli ecosistemi al comparto agricolo e boschivo. La rivalutazione e la valorizzazione di questi territori riparte così dal disegno di legge divenuto norma esattamente a metà settembre.
Se da un lato un nuovo capitolo sembra essersi aperto, dall’altro, in realtà, la partita non è neanche iniziata. La scommessa di rilancio dipenderà esclusivamente dalla risposta ad un quesito banale, ma non poi così scontato: quale Comune può essere classificato montano e quale no?
La Sicilia e il rischio esclusione
Punto cardine, su cui si fonda l’intero ordinamento, è la compilazione della lista dei Comuni montani che potranno accedere al bacino di risorse pensate ad hoc. Secondo legge, entro novanta giorni dall’entrata in vigore, i criteri dovranno essere definiti nel dettaglio.
Due elementi, al momento molto vaghi e generali, sui quali bisognerà approfondire sono stati individuati nell’altimetria e nella pendenza. Fondamenta oggettive, ma che rischiano di favorire dei territori rispetto ad altri. Stilando una lista nazionale di queste aree, infatti, il rischio è che alcune Regioni possano essere penalizzare e tra queste c’è anche la Sicilia. Ma cerchiamo di capire perché.
Prendiamo per esempio il criterio della pendenza. Qualora l’asticella dovesse superare il 30-40%, i Comuni dell’arco alpino sarebbero certamente favoriti. Nasce così la necessità di dover allargare l’orizzonte, tenendo in considerazioni le caratteristiche geografiche e morfologiche di ogni Regione, differenti da Nord a Sud.
Ancor prima di addentrarsi in questo studio, già questa settimana partiranno i primi incontri e le prime interlocuzioni tra i rappresentati dei territori, tra questi ci sarà anche l’assessore al ramo siciliano, Andrea Messina. Un confronto che coinvolgerà anche il ministero Roberto Calderoli. L’obiettivo sarà quello di avere un’idea più chiara sui parametri che saranno alla base della nuova classificazioni e sui quali partirà la valutazione da parte dei sei tecnici, che per legge saranno chiamati ad intervenire al fine di giungere ai decreti attuativi, necessari per dare concretezza alla norma.
Cosa prevede la norma?
Il ddl Montagna rappresenta un’opportunità unica nel suo genere. La dotazione finanziaria prevede: 105 milioni di euro per l’anno 2025, 123,5 milioni di euro per l’anno 2026, 119,6 milioni di euro per l’anno 2027, 108 milioni di euro per l’anno 2028, 110,5 milioni di euro per l’anno 2029, 104,2 milioni di euro per l’anno 2030, 101,3 milioni di euro per l’anno 2031, 101,6 milioni di euro per l’anno 2032, 101,1 milioni di euro per l’anno 2033 e 101 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2034.
Osservando il testo, balzano all’occhio le diverse e variegate linee di intervento. Teoria (la strategia per la montagna italiana, Smi) e pratica (il fondo per lo sviluppo delle montagne italiane) sono i due binari su cui si muove la norma. A coordinare il tutto il dipartimento per gli Affari regionali e le autonomie della Presidenza del Consiglio dei ministri, che avrà il ruolo di monitora l’attuazione e l’impatto delle disposizioni, attraverso una relazione annuale, fissata entro il 28 febbraio di ogni anno. La Smi avrà un ruolo cruciale. Definita con periodicità triennale, sarà determinante il funzionamento del Fondo. La ripartizione avverrà in base alla classificazione dei Comuni montani, incognita, come già spiegato, ancora da sciogliere.
Perché la norma era così attesa? E’ comprensibile già dai primi articoli, relativi ai servizi pubblici in sofferenza nella aree più distaccate dai grandi centri urbani, come la sanità e l’istruzione. Delle agevolazioni sono, infatti, previste per insegnati, scuola per l’infanzia, primaria e secondaria di primo e di secondo grado, e tutti coloro che esercitano professioni sanitarie e gli operatori socio-sanitari presso strutture sanitarie e socio-sanitarie, pubbliche o private accreditate. Le due categoria, tra i principali privilegi che acquisiranno, potranno avvalersi di punteggi aggiuntivi nelle graduatorie e nei concorsi e un contributo sotto forma di credito d’imposta.
Una quota del fondo potrà essere destinata anche alla promozione dei servizi educativi per l’infanzia e agli interventi per i tribunali siti in aree montane. Poi ancora, disposizioni in sostegno all’Università e alla ricerca, dall’intelligenza artificiale alle startup, nei settori strategici per lo sviluppo delle aree montane e per la valorizzazione della specificità dei relativi territori e agli studenti iscritti ai corsi di studio erogati, per i quali saranno previste forme di insegnamento alternative, anche attraverso le piattaforme digitali per la didattica a distanza, e l’erogazione di borse di studio.
Focus anche sulla continuità dei servizi di telefonia mobile e delle connessioni digitali e la copertura dell’accesso alla rete internet in banda ultralarga, con l’obiettivo di contrastare il divario digitale e culturale.
Dalla tutela del territorio allo sviluppo economico
Non solo servizi pubblici. Crisi climatica, salvaguardia dell’ecosistema montano, sostenibilità e tutela della biodiversità: la valorizzazione del territorio diventa elemento imprescindibile per il rilancio di queste aree. Scorrendo tra i punti in elenco, si passa dalla valorizzazione dei pascoli e dei boschi ai parchi e alle aree protette, dall’attività venatoria al monitoraggio dei ghiacciai e bacini idrici, dall’attenzione per l’agricoltura e gli operatori del comparto al turismo, tra rifugi e attività escursionistica.
Quest’ultimo punto diviene così cruciale anche in termini di sviluppo economico, con l’obiettivo di incentivare l’occupazione e il ripopolamento dei Comuni montani, per il quale sono previsti incentivi diretti per la natalità. Si parte così dal riconoscimento delle professioni della montagna, come presidi per la conservazione e la valorizzazione del patrimonio materiale e immateriale di queste zone. Agevolazioni sono previste anche e soprattutto per i giovani, come misure fiscali a favore delle imprese, per il lavoro agile e l’acquisto e la ristrutturazione di abitazioni.
Insomma, il tutto si riassumerebbe come un’importante boccata di ossigeno per i Comuni montani siciliani. La possibile esclusione o marginalizzazione sarebbe il sinonimo di un’occasione persa, e non senza un pizzico di rammarico, considerando anche il vasto bacino di risorse già pensate per il prossimo decennio. Le settimane che si susseguiranno, fino a fine 2025, saranno certamente da tenere d’occhio, sulla scia di una nuova agenda e programmazione politica.