Il ricorso è inammissibile. E’ questa la decisione finale della Commissione regionale di garanzia del Partito Democratico siciliano. Si chiude così, almeno per il momento, una lunga vicenda, simbolo emblematico delle spaccature all’interno del PD siciliano.
La Commissione, presieduta Giovanni Panepinto, composta dal vicepresidente Giacomo Torrisi e da Claudia Bonaventura, Francesco Stornello, Vanessa Greco e dal segretario Stefania Caggegi, si è riunita lunedì 6 ottobre per esaminare i ricorsi presentati da Giovanni Burtone e Antonio Rubino.
Dal verbale “si osserva che i ricorrenti non hanno contestato la deliberazione della Commissione Nazionale di Garanzia del 4 luglio 2025, n. 22, con cui la CNG statuiva la competenza di questa Commissione Regionale di Garanzia a decidere anche il presente ricorso, né la deliberazione del 22 luglio 2025, n. 4, con cui questa Commissione Regionale avviava l’istruttoria su di esso. Essendo decorso il termine di trenta giorni previsto a pena di inammissibilità dall’art. 48, co. 2, Statuto Nazionale del Partito Democratico, i superiori provvedimenti sono definitivi. In conseguenza, questa Commissione ha la competenza ed il potere di decidere il ricorso“. Il ricorso è inammissibile “per carenza di interesse. Le censure mosse hanno ad oggetto l’Assemblea Regionale del 11 gennaio, la quale si è poi conclusa in un mero rinvio a successiva data. La natura di atto endoprocedimentale, superato ed assorbito dalla successiva Assemblea del 27 gennaio 2025 e da quanto in quella sede deliberato, priva i ricorrenti di alcun interesse all’accoglimento delle loro domande. La superiore statuizione assorbe l’esame di ogni altro motivo di ricorso“.
Lo scorso giugno, poche ore dopo l’elezione di Anthony Barbagallo a segretario regionale del partito, la frangia opposta aveva presentato un ricorso unico, racchiudendo tutti i precedenti, alla Commissione nazionale. Il deputato e sindaco di Militello in Val di Catania Burtone aveva spigato i punti contestati: “Vi è innanzitutto il vizio centrale, cioè la mancanza dell’elenco dei votanti all’assemblea del 27 gennaio. Poi, ci era stato detto che il regolamento per il congresso era stato vidimato dalla commissione di garanzia, ma la commissione ha detto che non lo ha mai vidimato. Infine, contestiamo il voto palese, che non è democratico. Sarebbe più opportuno il voto segreto. Se il voto è palese direi che si tratta di un partito filo sovietico, se non addirittura, filo russo“. Burtone aveva puntato il dito anche sul numero dei votanti che “a noi risulta non più di tanto così straripante, ma al di sotto del 50%“.