L’acronimo NEET (Not in Education, Employment, or Training) è diventato, per la Sicilia, molto più di un semplice dato statistico. È la misura di una crisi sociale profonda, un peso che grava su circa un giovane su tre tra i 15 e i 34 anni. L’Isola, insieme alla Calabria, detiene il primato nazionale in questa triste classifica.
Ma il Rapporto Dedalo di Fondazione Gi Group ha fatto luce su un fattore decisivo e sorprendentemente intimo: “il destino lavorativo dei figli si gioca spesso nell’ambito domestico, ed è correlato al livello di istruzione della madre”.
Questo studio ha svelato una forbice impressionante che dovrebbe scuotere le coscienze. Quando la madre possiede solo la licenza elementare, la probabilità che il figlio sia un NEET sale al preoccupante 54,3%. Al contrario, se la madre ha un titolo universitario, questo rischio crolla a un rassicurante 9,9%. Non è solo una questione di reddito familiare, ma di trasmissione di un capitale sociale e culturale che, in Sicilia, è più decisivo che altrove.
Il muro del 54,3%: quando mancano gli strumenti culturali e la rete professionale per aiutarlo
Il 54,3% non è un numero, ma la somma delle frustrazioni di migliaia di giovani come Antonio, 22 anni, che vive in un contesto dove il lavoro stabile sembra una chimera. La sua situazione illustra perfettamente il circolo vizioso in cui si trovano le famiglie a bassa scolarizzazione.
Sua madre, Maria, pur amando il figlio, non ha gli strumenti culturali né la rete professionale per aiutarlo. È spesso assorbita dal carico di cura e lavoro domestico, una norma sociale che in questi contesti è ferrea e ineludibile.
La sua priorità non è trovare il percorso di studi migliore per Antonio, ma far quadrare i conti. Antonio si
ritrova così a navigare in un mercato del lavoro ostile senza una bussola. Non sa come scrivere un CV efficace, non distingue un percorso formativo serio e finisce per accettare lavoretti stagionali in nero che lo riportano inevitabilmente alla condizione di NEET quando l’estate finisce. È la mancanza di orientamento strategico che lo condanna.
Come spiega Chiara Violini, Presidente di Fondazione Gi Group, l’istruzione della madre attenua “il peso delle norme sociali che ancora oggi attribuiscono alle donne il principale carico di cura”. Senza quel freno, i figli ereditano un orizzonte ristretto.
Lo scudo del 9,9%: il valore della consapevolezza
Dall’altra parte della Sicilia e del dato statistico, c’è Laura 24 anni. Il suo rischio di diventare NEET è solo del 9,9%. Laureata in Ingegneria Gestionale, ha una madre, Teresa, con un titolo universitario. In questo contesto, l’istruzione materna non è solo un fatto personale, ma un vero e proprio scudo protettivo.
Teresa, professionista attiva, può permettersi di sostenere economicamente Laura durante il Master e i tirocini non retribuiti. Ma il vero valore è la sua capacità di trasferire competenze culturali e reti.
Laura ha imparato l’importanza del networking, ha ricevuto consigli mirati sul colloquio e ha potuto scegliere il proprio percorso, anziché subirlo. L’ambiente familiare le ha fornito la tranquillità di poter investire sul lungo termine, un lusso negato ad Antonio.
Il 9,9% simboleggia un contesto dove i figli sono guidati con strategia verso una carriera, non solo verso un impiego.
Le disparità per genere ed età: le donne sono la maggioranza
Il fenomeno NEET in Sicilia si fa ancora più pesante quando si analizzano le disparità per genere ed età.
La condizione di NEET colpisce le giovani donne in modo sproporzionato, raggiungendo il 35,3%, ben dieci punti in più rispetto ai coetanei maschi. Questo divario brutale racconta una storia di sacrificio non retribuito.
Alessia, 25 anni, diplomata con ambizioni formative, ha dovuto interrompere i suoi piani. L’aggravarsi della malattia del nonno ha reso necessario un assistente familiare. Non potendo permettersi una badante, la sua condizione di disoccupata l’ha resa la “risorsa” più facile. La sua ricerca di lavoro si è fermata, trasformandosi in una disoccupazione per dovere sociale.
La statistica del 35,3% è il freddo bilancio di queste carriere troncate sul nascere, un segno che le politiche di welfare non riescono a sostenere il peso del carico di cura, lasciando il fardello sulle spalle delle donne più giovani.
Un altro dato allarmante è quello legato all’età: l’incidenza dei NEET cresce costantemente, raggiungendo il picco del 42,2% nella fascia 30-34 anni. Ciò significa che l’inattività in Sicilia non è una fase temporanea post-diploma, ma una condizione cronica che consuma gli anni cruciali dello sviluppo adulto.
Marco, 32 anni, di Agrigento, è intrappolato in questa statistica. Ha provato più volte a inserirsi stabilmente, ma senza esperienza continuativa, si scontra con il muro dell’età. È considerato troppo vecchio per i tirocini entry-level e non abbastanza qualificato per posizioni di responsabilità. Superati i 30 anni, la speranza si affievolisce, lasciando spazio alla rassegnazione e alla dipendenza economica dalla famiglia.
Il 42,2% è il ritratto di una generazione la cui energia è stata sprecata da un mercato del lavoro troppo rigido e da un sistema di orientamento troppo debole.
Quali sono le possibili soluzioni?
La dispersione di questo potenziale umano è un lusso che la Sicilia non può più permettersi. Il Rapporto Dedalo non si limita alla diagnosi, ma propone cinque priorità strategiche per invertire la rotta, che rispondono direttamente alle storie che abbiamo raccontato:
- Rafforzare il Sistema Duale: Per dare le competenze pratiche e la credibilità che la sola scuola non offre.
- Potenziare l’Orientamento: Per costruire il capitale culturale mancante e guidare i giovani con una mappa chiara, sin dalla prima infanzia.
- Valorizzare l’Istruzione Terziaria: Per aumentare lo “scudo protettivo” culturale e delle future generazioni di madri.
- Attivare Percorsi di Reinserimento: Fondamentali per riattivare la fascia più matura dei NEET attraverso programmi mirati e credibili.
- Monitoraggio Continuo: Per evitare che le politiche siano “a pioggia” e per seguire il percorso individuale dei giovani, impedendo la cronicizzazione dopo i 30 anni.

L’impegno di Fondazione Gi Group

“Come persone, professionisti e come Paese non possiamo permetterci di voltare lo sguardo di fronte alla dispersione del potenziale delle nuove generazioni, compromettendo le possibilità di sviluppo dell’intera società. In questa direzione, Dedalo è un progetto unico nel suo genere che istituisce in Italia un Osservatorio e Laboratorio permanente per studiare e comprendere le cause profonde del loro allontanamento dai percorsi scolastici, formativi e dal mondo del lavoro e stimolare iniziative di contrasto e prevenzione.” – afferma Chiara Violini.
Che prosegue: “Dalla nostra analisi emergono cinque priorità per sostenere i giovani nel percorso verso il lavoro e la realizzazione personale: rafforzare il sistema duale scuola-lavoro; potenziare l’orientamento sin dalla prima infanzia e introdurre misure di sostegno economico per chi proviene da contesti svantaggiati; valorizzare l’istruzione terziaria e l’apprendimento permanente; attivare percorsi multistakeholder di reinserimento e riattivazione dei giovani; e infine, dotarsi, a livello nazionale e regionale, di strumenti di monitoraggio continuo che, attraverso l’uso di dati, permettano di analizzare in modo più preciso l’evoluzione del fenomeno NEET e seguire il percorso individuale di studio e lavoro delle persone durante la loro intera vita, limitando il rischio di dispersione.
Con Dedalo rendiamo ancora più concreto il nostro impegno come Fondazione per sviluppare il Lavoro Sostenibile, quel lavoro che è leva di coesione sociale, sviluppo personale e valore condiviso per i giovani, la collettività e il Paese”.
Il progetto Dedalo si pone come punto di riferimento per istituzioni, scuole, università, aziende, terzo settore e famiglie. Attraverso un portale interattivo dedicato, mette a disposizione un patrimonio informativo unico costituito da database nazionali e regionali sui NEET, analisi e interpretazioni dei dati, e una raccolta di buone pratiche per affrontare il fenomeno in modo sistemico in Italia.
Il divario del 54,3% contro il 9,9% è la sintesi più potente dell’emergenza NEET emersa dal progetto. È un monito che chiede un intervento non solo economico, ma culturale.
Investire nell’istruzione e nell’orientamento, specialmente nei contesti più fragili, non è una spesa, ma l’unica vera assicurazione per la coesione sociale e lo sviluppo economico della Sicilia. La riattivazione di questa vasta riserva di talenti è l’unico percorso verso un futuro più equo per l’Isola.
FONTE DATI: fondazione.gigroup.it/dedalo.
Nota metodologica
I dati per il rapporto Dedalo sui NEET vengono raccolti attraverso un’analisi su più livelli, che include indagini statistiche e demoscopiche, interviste approfondite, focus group e forum con i portatori di interesse e i giovani stessi. L’obiettivo è combinare dati quantitativi con elementi qualitativi per avere un quadro completo del fenomeno.
Indagini quantitative:
-Vengono utilizzate indagini statistiche e demoscopiche per raccogliere dati su larga scala.
Analisi qualitativa:
-Si integrano dati qualitativi attraverso interviste individuali approfondite, focus group e forum dedicati, coinvolgendo sia gli esperti del settore che i giovani NEET.
Raccolta di buone pratiche:
-L’Osservatorio Dedalo funge anche da collettore di esempi e storie di successo per diffondere buone prassi a livello nazionale.