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Dall'antica Atene al presente incerto

Aristotele e l’Europa del XXI secolo: la crisi “moderna” della classe media e delle strutture sociali e politiche

domenica 19 Ottobre 2025
Aristotele

C’è un filo che unisce l’antica Atene al presente incerto dell’Europa: il pensiero di Aristotele. Filosofo della concretezza e della misura, egli scrutava le forme di governo e le classi sociali con un’attenzione che oggi, in un continente attraversato da disuguaglianze, crisi di rappresentanza e mutamenti economici, suona di sorprendente attualità.

Questo articolo, continua il ciclo dedicato ai grandi pensatori politici già iniziato con Platone, Polibio e Machiavelli su IlSicilia.it, esplora la vitalità del pensiero aristotelico nel contesto politico e sociale contemporaneo.

Dal declino della classe media alla crisi delle democrazie rappresentative, dalla fragilità delle istituzioni europee al difficile equilibrio tra economia e giustizia sociale, Aristotele riemerge come una lente potente per leggere il presente. Non solo come autore di teoria, ma come osservatore di ciò che tiene insieme – o divide – la comunità.

Il suo invito alla “virtù come misura”, all’uso razionale del potere e alla centralità della polis come luogo del bene comune, torna oggi come una domanda urgente: che ne è dell’armonia sociale quando la politica smette di cercarla?

Aristotele

Ricostruiremo il contesto storico e filosofico dell’opera di Aristotele, per poi intrecciarlo con la condizione europea del presente, attraversando i temi del governo, della cittadinanza e dell’educazione morale. È il primo di tre articoli che indagheranno l’attualità del pensiero classico nel tempo dell’intelligenza artificiale e della crisi democratica.

I successivi approfondiranno, rispettivamente, “l’etica del limite” e la “saggezza pratica digitale”, e infine la nuova formazione di un’ideale di educazione e formazione globale dell’uomo europeo, inteso come progetto educativo e politico per il XXI secolo.

 

Aristotele: il contesto e le opere principali dedicate alla politica e alla società

Aristotele nacque a Stagira, nella penisola Calcidica, nel 384 a.C. Allievo dell’Accademia di Platone per vent’anni, ne assimilò il rigore dialettico ma ne rovesciò la prospettiva, riportando il pensiero dal cielo delle idee alla concretezza del mondo terreno. Dopo la morte di Platone, viaggiò e si stabilì a Pella come precettore di Alessandro Magno, esperienza che lo condusse a una riflessione profonda sul rapporto tra educazione, potere e governo. Tornato ad Atene, fondò il Liceo, una scuola che univa la ricerca empirica all’osservazione sistematica, base del metodo scientifico moderno.

Le sue opere“Etica Nicomachea”, “Politica”, “Metafisica”, “Retorica”, “Poetica” – costituiscono un sistema complesso ma coerente: al centro vi è l’idea che ogni azione umana tende a un fine, e che il fine supremo è la felicità (eudaimonía), raggiungibile solo in una vita vissuta secondo virtù.

In politica, Aristotele distingue le forme di governo “rette” (monarchia, aristocrazia, politeia) da quelle “corrotte” (tirannide, oligarchia, democrazia degenerata). La sua idea di polis non è solo un luogo fisico, ma una comunità etica, dove i cittadini partecipano al bene comune attraverso la deliberazione e la giustizia.

Aristotele vedeva la società articolata in classi, ma non rigidamente contrapposte: la mesotes, la “via di mezzo”, rappresenta per lui l’equilibrio virtuoso tra eccesso e difetto. È la classe media – la più ampia e moderata – a garantire la stabilità della città. Quando si impoverisce o scompare, subentra il conflitto: i ricchi cercano il potere per conservare i propri privilegi, i poveri per ribellarsi.

È qui che la Politica di Aristotele tocca il cuore delle crisi moderne: la perdita della misura, l’eccesso di ricchezza e povertà, la deriva delle istituzioni.

 

La crisi delle classi e la rappresentanza smarrita

Aristotele scriveva che “lo Stato è felice quando i cittadini vivono secondo virtù, non quando possiedono ricchezze smisurate”. Una verità antica che oggi sembra echeggiare nei corridoi stanchi delle democrazie europee, dove il malessere sociale si traduce in protesta, sfiducia e populismo.

Se si cammina oggi per le strade di diverse capitali europee o si scorrono i dati economici più recenti, è difficile non notare quanto le società contemporanee siano attraversate da tensioni legate alle disuguaglianze, soprattutto nelle periferie. Aristotele, oltre duemila anni fa, aveva già osservato un fenomeno che appare straordinariamente familiare: la fragilità delle città quando i rapporti tra ricchi e poveri diventano squilibrati. Nella sua Politica, il filosofo distingue tre classi fondamentali: i ricchi, detentori di potere e risorse; i poveri, coloro che lavorano ma possiedono poco; e la classe media, quella fascia di cittadini che non è né troppo ricca né troppo povera, e che, secondo Aristotele, rappresenta la vera colonna portante della stabilità sociale.

Per Aristotele, infatti, il predominio di una classe esclusiva porta facilmente all’oligarchia, mentre la predominanza dei poveri rischia di trasformarsi in una democrazia degenerata, soggetta a tirannide della maggioranza. È nella mediazione e nell’equilibrio che nasce la pace civile. La classe media, che ha interessi e risorse sufficienti per partecipare attivamente alla vita della polis senza essere ossessionata dal guadagno o dall’avidità, è la chiave per evitare che le tensioni economiche si traducano in conflitto politico.

Osservando la società contemporanea, questa intuizione appare sorprendentemente attuale. Nei Paesi europei, le crisi economiche degli ultimi anni hanno messo in evidenza la fragilità della classe media: in paesi chiave del continente europeo come Italia, Francia, Germania e Regno Unito le pressioni fiscali, l’aumento dei prezzi e la precarietà del lavoro hanno ampliato le disparità tra chi possiede molto e chi fatica ad arrivare alla fine del mese. Le tensioni sociali non sono soltanto numeri su un grafico, ma si manifestano nei dibattiti pubblici, nelle proteste e nei movimenti politici che chiedono maggiore equità e rappresentanza.

Ecco allora che i leader di questi paesi si trovano, loro malgrado, a confrontarsi con dilemmi antichi: come gestire una classe media che si è impoverita e che rischia di diventare terreno di conflitto sociale?

Emmanuel Macron

In Francia, Emmanuel Macron ha visto la sua immagine di “presidente riformatore” trasformarsi in bersaglio di un’ampia fascia di cittadini. I gilets jaunes prima, le proteste contro la riforma delle pensioni poi, hanno mostrato il volto di una classe media stremata, che non si riconosce più né nella sinistra tradizionale né nel centrismo tecnocratico. In Germania, il cancelliere Friedrich Merz si trova in una posizione altrettanto precaria: le sue politiche pro-mercato, pensate per rilanciare la competitività industriale, hanno alimentato una percezione di distanza dal cittadino comune. Nelle piazze tedesche cresce il risentimento verso un’élite che appare sorda ai bisogni reali che è iniziata con il precedente cancelliere Olaf Scholz.

Il Regno Unito di Keir Starmer affronta lo stesso dilemma: come restituire fiducia in un sistema che per anni ha privilegiato i mercati rispetto alle persone? Le sue politiche sociali moderate tentano di ricostruire una “virtù civile”, ma lo scetticismo è diffuso.

Giorgia Meloni

L’Italia non è da meno. Il governo guidato da Giorgia Meloni, pur forte di consenso elettorale, si confronta con un paese diviso e affaticato. Le classi popolari, un tempo motore della coesione nazionale, guardano con sospetto alle élite economiche e ai partiti tradizionali.

Aristotele avrebbe visto in questa disgregazione il segno della stasis, il conflitto interno che nasce quando il senso del bene comune si perde. Le sue parole sulla mesotes – “il giusto mezzo è ciò che salva la città” – tornano come un monito.

Il concetto aristotelico si estende anche a considerazioni più sottili: la stabilità non è solo questione di numeri o di leggi economiche, ma di cultura civica. Aristotele osservava che i cittadini devono sentirsi parte di una comunità e partecipare attivamente alla vita della città; una classe media consapevole dei propri diritti e doveri è in grado di mitigare conflitti e prevenire derive autoritarie. Nella nostra contemporaneità, ciò si traduce non solo in politiche economiche mirate, ma anche in educazione civica, informazione e partecipazione politica consapevole.

L’aumento dei divari sociali, la precarietà lavorativa, le nuove forme di povertà urbana e digitale mostrano come la lezione aristotelica resti una sfida aperta. Le disuguaglianze non sono mai statiche: cambiano forma, si insinuano nei mercati, nelle scuole, nelle opportunità di carriera.

Come nella Grecia antica, dove le città-stato dovevano continuamente negoziare tra ricchi e poveri per mantenere la pace, anche oggi la politica deve trovare un equilibrio dinamico. Le società che trascurano questa mediazione rischiano di vedere emergere conflitti sociali e instabilità politica, proprio come Aristotele aveva messo in guardia oltre duemila anni fa.

Un altro esempio interessante arriva dall’analisi dei dati recenti sulla distribuzione del reddito in Europa: le fasce di popolazione che un tempo erano considerate “classe media” tendono a frammentarsi, creando nuovi gruppi vulnerabili. Questo fenomeno richiama direttamente l’intuizione aristotelica che una classe media forte sia essenziale per il buon governo. Non è soltanto una questione economica, ma politica: una società divisa rischia di essere governata da estremi che non rappresentano l’intero corpo civico, e che possono portare a conflitti interni e instabilità.

In questo senso, Aristotele diventa un osservatore attuale: la sua analisi delle classi sociali e della stabilità politica ci offre una lente per interpretare fenomeni moderni come il populismo, la crescente polarizzazione politica, le tensioni tra élite e base popolare. Ci ricorda che la politica non può prescindere dalla struttura sociale, e che una società equilibrata non nasce spontaneamente, ma richiede attenzione, mediazione e partecipazione attiva.

Camminando tra le vie di una città contemporanea, osservando le proteste dei lavoratori, le discussioni parlamentari sulle politiche fiscali o le iniziative a sostegno della classe media, sembra quasi di sentire Aristotele parlare direttamente: la stabilità non è un dono, ma un equilibrio fragile da coltivare. E come allora, così oggi, la forza di una società risiede nella capacità di costruire un centro forte e coeso, capace di mediare tra gli estremi, promuovere il bene comune e garantire la pace sociale.

 

La politica come scienza pratica

 

La politica, secondo Aristotele non è un insieme di regole astratte, ma una conoscenza che guida l’azione concreta per garantire il bene comune. Le decisioni dei governanti, in qualunque epoca, devono tenere conto della realtà sociale, economica e culturale dei cittadini, deve essere essenzialmente una “scienza pratica”. E oggi questa intuizione appare sorprendentemente attuale.

Friedrich Merz

Nei Paesi europei, dalle capitali occidentali fino ai confini dell’Est, i leader affrontano sfide simili a quelle descritte oltre duemila anni fa. Un equilibrio precario del potere in Europa che deve quotidianamente gestire un clima crescente e costante di scioperi e proteste che attraversano i temi della guerra in Ucraina e Israele, la disoccupazione, l’immigrazione clandestina e la sicurezza nelle periferie di diverse città del continente europeo

Emmanuel Macron in Francia, confrontandosi con i gilet gialli e con una classe media impoverita, ha dovuto mediare tra le esigenze delle fasce urbane e rurali, cercando di conciliare riforme economiche con richieste sociali di equità. Friedrich Merz in Germania ha ereditato le complessità di una società divisa, con costi energetici in aumento e una classe media sotto pressione: ogni scelta politica, dalle riforme fiscali alla gestione dell’energia, ha mostrato quanto la prudenza e la capacità di adattamento siano essenziali.

Keir Starmer

Nel Regno Unito, Keir Starmer naviga tra l’eredità della Brexit e le tensioni interne, cercando di mantenere la coesione sociale pur dovendo rispondere alle esigenze economiche di una popolazione che percepisce crescente disuguaglianza. Anche l’Italia del governo di Giorgia Meloni rappresenta un esempio di come la politica sia arte di governo, non mera amministrazione: le riforme strutturali e le misure di austerità hanno imposto di bilanciare le richieste dell’Europa con la pressione delle fasce medie e lavoratrici, dimostrando che la capacità di mediazione tra interessi contrastanti resta centrale.

Nei Paesi dell’Est Europa, in Polonia e Ungheria, le tensioni assumono forme diverse ma confermano la stessa logica aristotelica: le misure economiche, le leggi controverse e le restrizioni civili generano fratture sociali, mettendo alla prova la coesione e la stabilità politica.

Nei Paesi Baltici, come Lettonia ed Estonia, proteste degli insegnanti e dei lavoratori pubblici segnalano una crescente insoddisfazione e la necessità di leadership che sappia ascoltare e adattarsi, evitando che le fratture sociali degenerino in conflitti più profondi. Con un’ulteriore tensione che li accomuna: il conflitto ucraino-russo che crea enormi pressioni e timori sui governi e le popolazioni dell’est europeo.

Ciò che emerge da questi esempi contemporanei è la conferma di una lezione antica: la politica efficace non può prescindere dalla conoscenza delle condizioni concrete della società.

La prudenza, la mediazione e l’attenzione agli equilibri sociali sono ancora oggi requisiti essenziali per governare, così come Aristotele li aveva indicati per la polis greca. La stabilità non nasce automaticamente dalle leggi scritte, ma dall’abilità dei governanti di comprendere le tensioni, prevedere gli effetti delle proprie decisioni e promuovere un equilibrio tra interessi diversi.

In un’Europa sempre più interconnessa e complessa, con economie integrate, crisi energetiche, tensioni migratorie e sfide climatiche, questa visione pratica della politica è più utile che mai: essa ricorda che governare significa osservare, ascoltare e adattare le decisioni alle necessità del tempo, senza dimenticare il bene comune.

Le esperienze europee contemporanee dimostrano come i principi aristotelici siano applicabili a realtà complesse e multidimensionali. L’inflazione che colpisce le famiglie tedesche o italiane, la percezione di ingiustizia fiscale in Francia, la polarizzazione politica nel Regno Unito, le riforme controversie in Polonia e i limiti delle libertà civili in Ungheria sono manifestazioni moderne delle dinamiche che Aristotele descriveva: senza equilibrio tra le classi e senza virtù dei governanti, le società rischiano instabilità e conflitto.

La politica, come allora, è un esercizio continuo di valutazione, mediazione e azione, e i leader moderni sono chiamati a incarnare la prudenza e la saggezza pratica necessarie per mantenere coesa la comunità.

Attraverso questa lente, la politica europea appare come un laboratorio vivente di applicazione aristotelica: ogni decisione, ogni compromesso e ogni protesta riflettono il delicato equilibrio tra interesse individuale e bene collettivo. La lezione è chiara: governare significa comprendere la realtà, prevedere conseguenze e costruire un centro stabile capace di mediare tra estremi sociali, economici e culturali.

In un continente che affronta dinamiche geopolitiche, sociali ed economiche sempre più complesse, la scienza pratica della politica rimane uno strumento indispensabile, confermando che l’antico pensiero di Aristotele continua a offrire chiavi di lettura preziose per interpretare e affrontare il presente.

 

Cultura, virtù e partecipazione

C’è un filo invisibile che lega le città dell’Europa contemporanea — da Parigi ad Atene, da Lisbona a Tallinn — e che Aristotele avrebbe riconosciuto immediatamente: la tensione tra l’individuo e la comunità. La polis, nella sua visione, non è solo un luogo di governo, ma una scuola morale. Lì si imparano la giustizia, la misura, la responsabilità. Senza questa educazione collettiva alla virtù, il potere scivola nell’arbitrio e la libertà diventa licenza. Oggi, in un continente che ha sostituito il cittadino con il consumatore e il dibattito con lo scontro digitale, la lezione aristotelica appare più urgente che mai.

Gilet Gialli in Francia

La Francia vive questa contraddizione in modo drammatico. Da un lato, conserva l’eredità illuminista di liberté, égalité, fraternité; dall’altro, si trova divisa da una frattura culturale profonda. Le periferie delle grandi città, abbandonate a un destino di marginalità economica e identitaria, incarnano quella che Aristotele avrebbe chiamato “stasis”: la guerra civile latente tra chi si sente parte della città e chi ne è escluso.

Le università, i teatri, le scuole diventano luoghi di scontro ideologico, non più di formazione comune. Mentre il dibattito pubblico si polarizza, la virtù collettiva scompare sotto il rumore del conflitto.

In Germania, patria del rigore e della pianificazione, la crisi della virtù politica si manifesta in un altro modo. L’idea aristotelica di equilibrio tra etica e interesse pubblico è sostituita da una razionalità amministrativa che misura tutto in termini di efficienza. Ma l’efficienza non scalda il cuore delle persone. La Germania post-industriale, pur ricca, soffre di un vuoto civico: le nuove generazioni si sentono lontane dalle istituzioni, e il senso di appartenenza alla comunità politica si affievolisce.
Aristotele avrebbe detto che la polis non può sopravvivere se i cittadini non sentono di appartenervi. E infatti, nei Länder dell’Est, la nostalgia per un passato idealizzato si trasforma in consenso ai movimenti radicali, segno che l’educazione civica non basta se non è accompagnata da giustizia sociale.

Brexit

Il Regno Unito vive un paradosso simile. La Brexit, nel suo fondo, non è stata solo una questione economica, ma un fallimento culturale. La promessa di “riprendere il controllo” ha trasformato l’idea aristotelica di cittadinanza attiva in una forma di isolamento nazionale. Oggi, Keir Starmer tenta di ricucire un tessuto sfilacciato, ma la società britannica resta divisa. La virtù civica, che per Aristotele è phronesis, prudenza e partecipazione, è sostituita da un individualismo diffuso, dove ogni gruppo difende il proprio interesse. Londra non è più il cuore morale del Regno, ma una metropoli globale sospesa tra lusso e povertà.

In Italia, il quadro è più complesso. Qui la cultura politica si intreccia con la storia, con la memoria delle ideologie e con una creatività sociale che resiste alla crisi. Tuttavia, la virtù pubblica — intesa come capacità di pensarsi parte di una collettività — si è affievolita sotto il peso della disillusione.
Aristotele avrebbe riconosciuto in questa dinamica una forma di governo sbilanciata: troppo potere alla retorica, poco alla deliberazione.

Il governo guidato da Giorgia Meloni rappresenta una stagione di stabilità apparente, dove la coesione nazionale si costruisce attraverso il richiamo ai valori identitari più che sulla partecipazione civica. Ma il popolo, come avrebbe detto il filosofo, non può essere solo spettatore: deve essere partecipe. Senza koinonía (“la comunità”), la condivisione, la democrazia si riduce a consenso elettorale.

Pedro Sanchez

Anche nei paesi mediterranei, la lezione aristotelica su virtù e misura risuona con forza. In Spagna, con Pedro Sanchez, dopo gli anni di polarizzazione tra socialisti e conservatori, e le tensioni catalane, il dibattito politico si è spostato sulla qualità della convivenza civile. Le piazze di Madrid e Barcellona, un tempo teatri di scontro, oggi chiedono una politica più riflessiva, più umana. In Portogallo, la tradizione democratica post-rivoluzionaria mantiene viva una cultura del dialogo che ricorda la politeia aristotelica: non perfetta, ma fondata sulla ricerca del bene comune.

In Grecia, dove tutto ebbe origine, la crisi economica ha lasciato cicatrici profonde, ma anche un ritorno alla riflessione sulle radici della polis. La filosofia è tornata nei festival, nelle scuole, nei luoghi di confronto civile. È come se Atene, dopo aver toccato il fondo, volesse ricordare all’Europa che la vera ricchezza è ancora la virtù.

Il Mediterraneo, invece, conserva ancora un respiro collettivo. In Italia, Spagna, Grecia, Malta, la partecipazione si esprime attraverso la cultura: le feste, il cibo, la memoria condivisa. È la paideia del quotidiano, dove la virtù si impara non dai manuali, ma dal vivere insieme. Forse è questo che manca al Nord, immerso nel calcolo e nella produttività: la consapevolezza che una città non è solo un luogo da governare, ma un’anima da custodire.

Viktor Orban

I paesi dell’Est Europa offrono invece un contrasto netto. In Ungheria, Viktor Orbán ha costruito un modello che Aristotele avrebbe definito “oligarchico”: il potere concentrato in poche mani, la virtù sostituita dalla fedeltà. E una forte critica alle politiche dell’Unione Europa con posizioni di contrasto a volte molto forti e critiche, Le stesse dinamiche, crescono negli ultimi anni, anche in Slovacchia con Robert Fico e in Serbia con il presidente Aleksander Vučić.

In Polonia, la tensione tra conservatorismo e diritti civili riflette la stessa lotta tra due visioni del bene comune. Nei paesi baltici — Estonia, Lettonia, Lituania — la virtù si manifesta diversamente: nella fiducia nella tecnologia, nella trasparenza digitale, nella modernità. Eppure, dietro questa efficienza si nasconde la solitudine di una cittadinanza che interagisce più con lo Stato digitale che con i propri concittadini reali. Aristotele avrebbe parlato qui di “kenosis”, svuotamento: la forma senza sostanza, la connessione senza comunità.

In fondo, Aristotele non ci parla solo di politica, ma di educazione alla cittadinanza. La virtù non è un dono, ma una pratica. E se oggi l’Europa vuole sopravvivere alle proprie divisioni, dovrà tornare a pensarsi come polis: un intreccio di persone che condividono non solo regole, ma senso.

In questo, il filosofo di Stagira resta un contemporaneo. Perché ricordarci che “vivere bene” significa “vivere insieme” — in equilibrio tra libertà e giustizia — è ancora la più rivoluzionaria delle lezioni.

 

La virtù come fondamento dell’educazione e del governo

Oggi, in un continente europeo attraversato da crisi di fiducia, populismi intermittenti e leadership instabili, la virtù politica non è più il linguaggio del governo ma un frammento teorico confinato all’università. Eppure, senza virtù non esiste cittadinanza, e senza cittadinanza non può esistere governo.

L’Europa che discute di stabilità finanziaria, intelligenza artificiale e difesa comune ha smarrito il senso educativo della politica. Le istituzioni formano procedure, non caratteri. Le scuole formano competenze, non giudizi. I media formano opinioni, non coscienze. Eppure la democrazia, per restare viva, ha bisogno di cittadini capaci di discernimento — di quella phronesis (“intelligenza pratica”) che Aristotele collocava tra l’esperienza e la saggezza, tra l’istinto e la legge.

Platone e Aristotele

Ogni forma di potere, se privata della virtù, tende alla sua degenerazione. Lo sapevano i filosofi greci, ma anche i padri dell’Europa moderna: la libertà senza giustizia genera disuguaglianza, la sicurezza senza misura produce autoritarismo. La virtù è dunque un principio politico, non morale; è l’arte di governare se stessi per poter governare insieme.

Il futuro dell’Unione Europea, se vuole tornare a essere un progetto di civiltà, dovrà fondarsi su questa riscoperta. Non basteranno le riforme istituzionali o i trattati economici. Servirà un’educazione alla misura, alla responsabilità, al limite. In questo senso, Aristotele non appartiene al passato, ma al destino dell’Europa: la sua idea di virtù come pratica quotidiana della comunità è forse l’unica risposta possibile a un mondo che confonde il consenso con la verità e la visibilità con il valore.

 

Verso una nuova filosofia dell’umano?

 

Ogni epoca, quando attraversa la crisi del proprio linguaggio politico, torna a interrogarsi sulle origini. L’Europa di oggi, sospesa tra potenza tecnologica e fragilità sociale, ha bisogno di un nuovo umanesimo politico. Aristotele ritorna non come nostalgia ma come urgenza: la sua idea che la felicità coincida con la virtù, e la virtù con la vita in comune, può ancora orientare un continente smarrito tra algoritmi e identità frammentate.

In questo scenario, la politica delle immagini è solo la superficie visibile di un conflitto più profondo: quello tra ethos e techne, tra l’uomo che desidera e la macchina che calcola, tra la comunità che discute e la piattaforma che decide. Ritrovare la misura, come insegnava il filosofo di Stagira, significa restituire senso al limite e dignità al pensiero.

Questo primo articolo apre un passaggio verso gli altri due temi che verranno trattati. Il tema della virtù e della responsabilità collettiva introduce naturalmente la riflessione successiva — quella sull’etica del limite e sull’intelligenza artificiale come nuova frontiera del potere e della conoscenza.

Aristotele e la “saggezza pratica”

Il secondo articolo esplorerà la trasformazione dell’intelligenza in “saggezza pratica” digitale: l’idea che la tecnologia, per essere davvero umana, debba imparare a contenersi.

Il terzo articolo completerà il percorso, interrogando la possibilità di un nuovo ideale di educazione e formazione globale dell’uomo europeo, sia politica che morale, capace di formare cittadini consapevoli nel tempo dell’iperconnessione.

Nel cerchio che si apre da Aristotele e torna all’Europa contemporanea, la domanda resta la stessa di venticinque secoli fa: che cosa significa vivere bene insieme? La risposta, forse, non sta nella forza delle istituzioni, ma nella fragilità del pensiero.

 

 

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