In Sicilia la medicina generale è ancora regolata da un Accordo Integrativo Regionale risalente al 2010. Quindici anni dopo, il sistema attende un aggiornamento capace di allineare la Regione alle trasformazioni introdotte dal DM 77, il decreto che ridisegna la Sanità territoriale rispetto a come la conosciamo oggi.
“Il 29 abbiamo un nuovo incontro per il tavolo trattante della medicina generale. Speriamo di arrivare finalmente alla firma del nuovo accordo integrativo regionale, che permetterà alla Sicilia di essere al passo con le altre regioni. L’ultimo AIR è del 2010. Stiamo colmando un gap di quasi quindici anni, e questo ha bloccato la possibilità di recepire le nuove norme e i modelli organizzativi. La Sicilia ha bisogno di tornare dentro un sistema che evolve, di mettere a sistema le esperienze e dare stabilità ai professionisti che ogni giorno tengono in piedi il territorio“.
A dichiararlo è Luigi Tramonte, segretario regionale FIMMG Sicilia, il quale spiega che il nuovo accordo dovrà dare concretezza alle Aggregazioni Funzionali Territoriali (AFT), l’asse portante della riforma.
“Le AFT non devono restare sulla carta. Devono consentire ai medici di famiglia di lavorare in équipe, con il supporto di personale amministrativo e infermieristico, connessi con le strutture ospedaliere e con le centrali operative territoriali. Solo così si potrà garantire una presa in carico reale dei pazienti cronici e un monitoraggio costante delle patologie, che sono oggi il cuore della domanda sanitaria. Ma la riforma della medicina generale è anche una questione di riconoscimento economico – ricorda -. Il nuovo assetto prevede una parte fissa e una variabile del compenso: quest’ultima rappresenta circa il 30% e va legata a obiettivi misurabili. Se raggiungo i target su vaccinazioni, screening oncologici o presa in carico dei cronici, devo poter ricevere l’incentivo. Ma servono criteri trasparenti, obiettivi chiari e regole uniformi, perché non può esserci una medicina di prossimità con venti sistemi diversi”.
Il principio di fondo resta quindi la prevenzione, che Tramonte definisce: “La vera leva di sostenibilità del sistema. Non può essere un capitolo accessorio. È il modo più efficace per ridurre le disuguaglianze e prevenire la spesa sanitaria futura. Il medico di famiglia è il primo presidio della salute pubblica. Se lo si integra davvero nel sistema, può cambiare gli esiti di salute della popolazione”.
Sulle Case della Comunità, il segretario FIMMG sottolinea la necessità di una regolamentazione chiara. “Ci saranno attività specifiche che potremo svolgere, ma devono essere definite all’interno dell’accordo integrativo regionale con regole certe su orari, funzioni e modalità di collaborazione. Solo così potremo garantire continuità assistenziale e presenza effettiva sul territorio. Senza un quadro contrattuale aggiornato, le Case della Comunità rischiano di restare spazi vuoti”.
L’altra faccia del Paese
Le criticità non riguardano solo il Sud. Anche in Lombardia, una delle regioni più organizzate, la medicina generale affronta una crisi strutturale. A raccontarlo è Paola Pedrini, segretario regionale FIMMG Lombardia.
“La situazione tra Lombardia e Sicilia è diversa, da noi la carenza di medici si trascina da molti anni. Il rapporto ottimale medico-pazienti era stato portato a uno a 1300 e questo ha ridotto il numero complessivo dei medici di famiglia, aggravato dal mancato finanziamento di borse aggiuntive per la formazione in medicina generale. Oggi paghiamo quella scelta. Ma come in Sicilia il lavoro è insostenibile. Molti colleghi seguono 1700 o 1800 assistiti, qualcuno arriva anche a 2000. Il carico è enorme, con pazienti più anziani e con più patologie croniche. Si lavora tanto e spesso senza supporto, e questo rende la professione sempre meno attrattiva per i giovani”.
Sull’attuazione del DM 77, anche la Lombardia mostra limiti concreti. Pedrini spiega che: “Si è lavorato molto sulle strutture, con la riconversione di sedi esistenti in Case della Comunità, ma al momento la medicina generale non è ancora pienamente coinvolta. È come se fossero tornati i distretti sanitari, che da noi erano scomparsi. La programmazione c’è, ma manca la presenza operativa dei medici di famiglia. È un ritorno di sistema, ma ancora troppo parziale”.
L’unico aspetto più dinamico riguarda la contrattazione. “In Lombardia firmiamo ogni anno un accordo integrativo regionale, con fondi aggiuntivi per le forme associative e il personale. Non bastano mai per tutti, ma almeno si mantiene una continuità. Tuttavia, non abbiamo ancora affrontato il nodo del ruolo unico, che è il cuore dell’accordo collettivo nazionale e la vera chiave di volta per il futuro”.
La fotografia nazionale
La Missione 6 “Salute” del PNRR mette a disposizione 15,6 miliardi di euro per ridisegnare il Servizio sanitario nazionale. Circa sette miliardi sono destinati alla costruzione delle reti di prossimità, mentre gli altri otto puntano su innovazione, digitalizzazione e nuove tecnologie. Il DM 77 del 2022 ne rappresenta la spina dorsale: un decreto che fissa gli standard e i modelli della sanità territoriale del futuro, basata su presa in carico, continuità assistenziale e integrazione professionale.
Il piano è ambizioso: 1.350 Case della Comunità, 400 Ospedali di Comunità, 600 Centrali Operative Territoriali, e una rete digitale incentrata sul Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE 2.0). Ma, a quasi quattro anni dall’avvio, i risultati restano parziali. Secondo i dati aggiornati al 2025, solo un terzo delle strutture previste è realmente operativo, e con grandi differenze tra Nord e Sud. In molte aree meridionali i lavori non sono ancora partiti. Al Nord diverse Case della Comunità esistono solo sulla carta o sono prive dei servizi essenziali.
Nel disegno del DM 77, la rete territoriale ruota attorno al ruolo unico dell’assistenza primaria e ai PDTA, i percorsi diagnostico-terapeutici-assistenziali che permettono di coordinare il lavoro di medici, infermieri, farmacisti e strutture sanitarie. Ogni PDTA ha un obiettivo clinico preciso, un percorso condiviso e criteri di valutazione basati su efficacia, efficienza e sostenibilità. Il medico di medicina generale ne è il punto di riferimento, colui che governa il processo e accompagna il paziente lungo tutto il percorso di cura.
Il Fascicolo Sanitario Elettronico dovrebbe essere lo strumento chiave per rendere tutto questo possibile. Oggi la copertura nazionale ha superato il 65%, ma l’interoperabilità è ancora un miraggio. I sistemi informativi regionali non dialogano tra loro e, spesso, non comunicano neppure con i software in uso negli studi dei medici di famiglia.
Le Case della Comunità, cuore del nuovo modello di prossimità, sono il tassello più visibile ma anche il più fragile. Molte sono ancora prive di personale stabile, soprattutto medici di medicina generale e infermieri di famiglia. La carenza di personale resta infatti il principale collo di bottiglia.
L’appello
Per la FIMMG, il rilancio della medicina territoriale richiede scelte politiche chiare, a livello nazionale e regionale. I medici di famiglia chiedono al Governo di definire in modo preciso il modello organizzativo del territorio, evitando sovrapposizioni tra AFT, UCCP e Case della Comunità. Secondo loro serve anche maggiore flessibilità: part-time, orari personalizzati e nuove modalità di lavoro che rispondano al contesto attuale e ai reali bisogni dei professionisti.
Inoltre servono risorse dedicate per la medicina generale. Non solo per l’attività oraria e territoriale, ma anche per l’organizzazione degli studi e per garantire assistenza nelle aree più disagiate. Accanto ai fondi, è indispensabile un sistema trasparente di monitoraggio e remunerazione, basato su risultati concreti. Deve premiare la qualità delle cure e la presa in carico dei pazienti, non il semplice numero di prestazioni.
Tra le priorità c’è anche la tutela del medico di famiglia: dal diritto alla genitorialità alla conciliazione vita-lavoro, fino alla sicurezza professionale.
La FIMMG chiede inoltre di evitare forti differenze regionali, che rischiano di minare l’uniformità e l’equità del sistema sanitario nazionale.
“L’obiettivo è uno solo: accelerare la piena attuazione del nuovo ACN e degli accordi regionali, perché senza di essi la più importante riforma della sanità territoriale rischia di restare incompiuta“, conclude Tramonte.




