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L’Amore ai tempi del Covid-19 – Terza puntata | VIDEO

giovedì 23 Aprile 2020

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di Andrea Giostra e Roberta Cannata

Che bella giornata oggi: C’è il sole splendente, il cielo è di un azzurro primaverile che apre il cuore, la temperatura mite. Sto pensando di fare una passeggiata in pineta, proprio dietro la villetta dei miei dove da oltre un mese sono rinchiuso. Si trova a meno di 10 minuti a piedi. A meno di un chilometro di distanza. Vivo questi giorni in mezzo alla campagna, alla natura, alle gazze ladre, ai merli, alle rondini, alle tortorelle, ai falchetti che si sono rimpossessati del cielo di queste terre. Ai passerotti che cinguettano dietro l’ampia finestra della cucina per chiedere quelle mollichine che mia mamma regolarmente da anni, ogni mattina alle sette, poggia sul davanzale in marmo bianco aspettando che arrivino e consumino, anche loro, una buona colazione. Non c’è nessuno qui dove abito adesso. Io e i miei genitori ottantenni. Poi solo campagna brulla, non più coltivata, con le salibbe fatte di pietra viva che si sovrappongono l’un l’altra lungo il ripido pendio della collina come a formare, se viste da lontano, un’artistica parere di terrazze con muri in pietra viva adesso piene di erbacce selvatiche che hanno preso il posto dei profumati frutti e dei genuini ortaggi coltivati con sacrificio e dedizioni dai nostri nonni e genitori durante l’ultima grande guerra per sfamare la famiglia e i cari.

Quello che vedo dall’ampia finestra del mio studio monteleprino è questo paesaggio. Decido allora di fare una passeggiata, forse una corsetta, per tenermi in movimento, immaginando di riconquistare quella forma fisica che ho perso da anni. Che mi riprometto, da altrettanti anni, di recuperare, ma so bene dentro di me che non accadrà mai.

Spengo il mio PC, calzo scarpette da ginnastica, mi avvio verso il cancello che s’apre verso il pizzo della collina di Montedoro. Squilla il cellulare. Non so che fare. Rispondere oppure lasciar perdere e richiamare al mio rientro. Lo guardo per vedere chi è, magari è una telefonata importante di lavoro, mi dico. No, è Leandra, una mia amica modella. Lei vive e lavora a Milano. Leandra è una modella molto richiesta dai più importanti artisti delle arti figurative milanesi. Il suo corpo è armonico, scultoreo, plastico, fotogenico. Il suo viso e i suoi occhi hanno quella personalità necessaria a trasmettere emozioni. Come me anche lei sarà rinchiusa in casa da settimane. La immagino in appartamento nel centro storico della capitale lombarda. Chissà come sta vivendo questi giorni di clausura forzata, lei, abituata a vivere una vita intensa tra lavoro e le tante relazioni sociali che appartengono al suo mondo. Il mondo della moda, dell’arte, delle socialità vip della Milano della moda e dell’arte più sofisticata. Col polpastrello dell’indice destro pigio l’icona verde a forma di cornetta del mio Smartphone…

Leandra Tartaglia

– Ciao Leandra, come stai? Che piacere sentirti…

– Ciao Andrea, io bene… tu?

– Bene… bene… anche se come tutti comincio a soffrire questa clausura forzata…

– Non dirmi questo per favore… io sto soffrendo maledettamente… i primi due tre giorni mi sono sembrati un po’ un gioco… come essere in vacanza… come voler staccare la spina da tutto per un weekend e rigenerarmi… ma adesso è passato più di un mese e sinceramente non ce la faccio più…

– Occorre avere pazienza Leandra… non possiamo farci nulla… e soprattutto non mollare mai …

– Sì, hai ragione… ma non è così facile… credimi… Ho letto l’articolo della rubrica su “L’amore ai tempi del Covid-19” che avete scritto tu e Roberta Cannata… mi è molto piaciuto… e ho pensato alla mia storia sentimentale che sto vivendo in questi giorni con il mio fidanzato…

– Spero che stiate passando insieme questi giorni…

– No… purtroppo no… ed è proprio questo il punto…

La voce di Leandra improvvisamente cambia tono. Diventa seria, decisa, emozionata. Ha bisogno di raccontare la sua storia, di parlare con qualcuno. Di sfogare come sta vivendo questi giorni. Giorni di lontananza fisica dal suo amore. Di necessario distanziamento sociale direbbero gli esperti dell’ultim’ora. Senza che io dica una parola, senza che io la interrompa, inizia la sua narrazione. Leandra comincia a raccontarmi del suo amore ai tempi del Covid-19…

– Sai Andrea, io mi trovo in una situazione particolare. La mia storia d’amore è iniziata poco più di quattro mesi fa. Una relazione sbocciata in modo tanto improvviso quanto inaspettato. È maturata in maniera naturale ed è cresciuta intensamente. Stavo vivendo una fase della mia vita nella quale avevo deciso di stare da sola. Accadde però che mentre stavo lavorando per la Biennale Art Meeting 2019 di Milano, Oleg, questo il suo nome, che si occupava della sicurezza personale di alcuni artisti e manager molto importanti ospiti dell’evento, per tutti quei giorni di lavoro mi ha corteggiata in un modo bellissimo. Una sera, dopo che avevo finito di lavorare, sarei dovuta andare a fare la spesa. Era molto tardi. Le undici. Oleg si offrì di accompagnarmi. Pensai che per una donna a quell’ora tarda è sempre meglio essere in compagnia se devi andare in posti anche se pubblici un po’ isolati. Accettai il suo invito. Avrei dovuto aspettarlo pochi minuti perché terminasse le cose da fare per il suo lavoro. Ritornò dopo poco più di cinque minuti. Andammo con la sua auto verso l’unico supermercato ancora aperto a quell’ora. Lui non abita a Milano come me, ma in un paesino distante pochi chilometri. Feci la spesa e mi riaccompagnò a casa. Lo ringraziai, ci salutammo come due vecchi amici, e andò via spedito verso casa sua. La mattina seguente, già alle sette e trenta, avrebbe dovuto essere sul posto di lavoro per verificare che tutto fosse pronto in vista dell’arrivo per le nove di un ospite francese molto importante. Dopo quella sera, durante i rimanenti giorni della biennale, cominciammo a frequentarci sempre, anche se i nostri orari di lavoro non erano compatibili. Ci vedevamo la mattina presto per fare colazione insieme. Oppure, qualche volta, Oleg veniva a trovarmi in galleria per salutarmi e fare due chiacchiere veloci. Poi una sera decidemmo di cenare insieme. Fu una serata bellissima. Oleg è un ragazzo moro, gentile, dolce, sorridente, con un fisico da giocatore di rugby, alto quasi un metro e novanta, robusto ma al contempo agile nei movimenti, due occhi profondi e scuri, una folta chioma di capelli castani e lisci. Quella sera, usciti dal ristorante, dormì da me. Da quel momento non ci lasciammo più. Insieme creammo una routine quotidiana bellissima. Anche se sono passati poco più di quattro mesi, per me sembra che sia passato un anno per la familiarità che sento di avere vissuto in quelle settimane insieme a Oleg. Ci divertivamo, parlavamo moltissimo, giocavamo insieme… mi accorgo adesso che sto parlando al passato… caspita…! Evidentemente questo periodo di isolamento da Oleg mi fa vivere questa cosa come se fosse accaduta chissà quanto tempo fa. Ho vissuto quel periodo con una intensità fantastica. Poi improvvisamente il nulla più totale. La cosa assurda è che all’inizio di questa fase di isolamento, anche stando fisicamente lontani, e vedendoci tantissimo prima che accadesse la Pandemia, ci sentivamo rarissimamente. Io era a casa mia da sola cercando di fare qualcosa di utile, mettendo a posto le mie cose come una disperata che cerca di impiegare al meglio il suo tempo, cercando di fare tutte quelle faccende domestiche che non ho mai fatto. Lui altrettanto, chiuso in casa che cercava di impegnarsi in tante cose che neanche lui aveva mai fatto prima. Abbiamo passato le prime due settimane sentendoci una sola volta al giorno. Adesso però siamo veramente disperati. La sera abbiamo cominciato a chiamarci su Skype per passare il tempo insieme con giochi che facevamo da bambini, tipo “nomi, cose e città”… oppure, Oleg, che suona la chitarra, ha cercato di insegnarmi a suonarla visto che io ho avuto sin da bambina questo desiderio. Ma dopo pochi giorni si è arreso. Adesso, da qualche giorno, è accaduta una cosa bellissima che voglio raccontarti. La sera dopo cena ci sentiamo, lui sul suo balcone, io sul mio. Ci guardiamo negli occhi attraverso Skype. Poi Oleg prende la sua chitarra, inizia a suonare e a cantare. Le sue sono canzoni romantiche bellissime. Sono le sue serenate che mi dedica. Le parole sono in moldavo e io non ci capisco nulla ovviamente. Lo ascolto suonare e cantare. Lo guardo negli occhi, così come lui mentre canta e suona mi guarda negli occhi. Mi godo quei minuti con una emozione intensa, viva, per niente virtuale. Poi, subito dopo, quando abbiamo chiuso il collegamento, terribilmente curiosa di conoscere le parole che mi ha dedicato, corro su Internet, cerco il testo della canzone, lo faccio tradurre da Google, e leggo in italiano quelle parole che pochi minuti prima il mio Oleg mi ha dedicato suonando la chitarra dal balcone di casa sua sotto un cielo che immagino blu notte illuminato da miliardi di minuscole stelle…

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