Oggi balleremo, anche se metaforicamente, la “Tarantella” ma, a fine articolo, sarete così presi da questa nostra danza che sarà come averla fatts. Il nostro percorso musicale, storico, folclorico e curioso, è ai nastri di partenza. Siete pronti per questo viaggio nella musica, che identifica la nostra Sicilia e il meridione tutto?
Storia della Tarantella
La prima fonte storica che la cita risalirebbe ai primi anni del XVII secolo, catalogandola come fenomeno rituale medico-magico legato al territorio pugliese. Secondo alcuni studiosi, infatti, il nome “tarantella” deriverebbe da “taranta”, termine dialettale con cui si indicava la “Lycosa tarantula“, un ragno velenoso da cui si narra che, chi venisse morso o credeva di esserlo stato, trovava salvezza grazie a questo ritmo travolgente che, col sudore, espelleva il veleno. Alla fine del XVIII secolo acquistò il carattere festoso con cui la conosciamo oggi. Nel XIX secolo, la tarantella, divenne uno degli emblemi del Regno delle Due Sicilie e la sua fama arrivò all’estero.
La Tarantella siciliana e i suoi balli
Passando dal generale al particolare, andiamo a conoscere la “Tarantella siciliana” e i suoi balli, tra questi: “U ballu a chiovu”, che si legava al periodo della mietitura in cui, dopo una pesante e lunga giornata di lavoro, i contadini, riuniti sull’aia, con strumenti tipici si lanciavano in danze sfrenate. Questo nome si spiega col fatto che, durante i passi, i piedi battevano sempre i tacchi nello stesso punto, u chiovu appunto, facendo dei salti con le gambe aperte e incrociandole nel poggiarle a terra. Solitamente lo si ballava in due, con l’uomo che stuzzicava la donna con mossette e riverenze, avvicinandosi a lei e dandole le mani.
“U Roggiu“, molto simile al ballu a chiovu, era eseguito sempre sull’aia, ma durante il periodo della vendemmia.
“U nozzu” era, invece, una danza di corteggiamento in cui gli uomini cantavano alle donne “u toccu”, davanti a boccali di birra o a bicchieri di vino. La curiosità è che, giocando nel frattempo a carte, si muovevano in una combinazione di valzer e tarantella siciliana.
Tra i balli più curiosi non si può non citare il “Lanzet”, un ballo dell’ottocento, tipico della provincia di Messina, con cui i pastori salutavano la migrazione delle proprie greggi, esprimendo gioia per il ritorno a casa e, allo stesso tempo, desiderio di lanciarsi in nuove avventure. Essendo, però, la transumanza argomento prettamente maschile, veniva danzato da soli uomini, che lo definivano “lupulu”, e lo si può considerare a diritto una innovazione nella tradizione, in quanto al centro non c’era la coppia con il gioco della seduzione.
La “Fasola della Tubiana” era tipico del periodo di Carnevale e il canto “Carnascialata dei pulcinelli” viene ancora ballato in molti paesi da gruppi folkloristici.
Lo “Scotis“, invece, era un ballo di coppia che, derivando dalla danza scottisch ottocentesca, si diffuse in tutta Europa tra le famiglie e gli ambienti aristocratici tra il 1830 e il 1850. Protagoniste erano, di solito, le coppie, ma in un’altra variante l’uomo stva al centro e tre donne gli girano intorno.
La “Contradanza” veniva eseguita durante il periodo di Carnevale, nelle feste paesane e ai matrimoni.
La tarantella siciliana trarrebbe le sue origini dalla cultura greco-romana, con Gneo Nevio, che si dedicò alla “Tarentilla”, una commedia di origini latine e di ispirazione greca con protagonista una ragazza proveniente da Taranto, conosciuta, allora, come Tarentum.
Adesso se chiudiamo gli occhi, magicamente, ci ritroveremo in una sera d’estate, avvolti dal suono di tamburelli, flauti e fisarmoniche, magari ballerini per una notte tra ballerini professionisti, scatenarci e farci invadere dalla nostra amata cultura, coniugata a 360 gradi, rivivendo una Sicilia agreste, arcaica, legata ai riti e ai ritmi della terra che, per fortuna, ancora oggi, molti gruppi Folkloristici tramandano.
Buona Tarantella a tutti.