Il Genio di Palermo è uno dei simboli del capoluogo siciliano, la cui identità è ancora oggi sconosciuta e di cui è possibile ammirarne le rappresentazioni in diversi luoghi della città.
In particolar modo, il Genio di Palazzo Pretorio reca un’iscrizione latina sul bordo della conca che lo ospita e recita “panormus conca aurea suos devorat alienos nutrit” cioè “Palermo conca d’oro divora i suoi e nutre gli stranieri”.
Una frase che richiama il carattere dei palermitani, un modo di vivere e pensare: accogliere calorosamente chi viene da fuori, cioè lo straniero, di dargli nutrimento e ristoro, di accoglierlo senza troppe titubanze. Ma allo stesso tempo Palermo, come riporta la frase, si dimentica dei suoi stessi cittadini, dei suoi figli, senza rendergli le giuste cure o addirittura se li divora. Uno spirito, quello palermitano, che è aperto verso il prossimo, verso l’altro, il diverso, attraverso cui si spiegherebbe il continuo avvicendamento di conquistatori avvenuto nel corso dei secoli. Insomma, la frase che adorna il Genio di Palazzo Pretorio può essere intesa come metafora della storia e dei costumi degli abitanti del capoluogo siciliano.
Ma chi è il Genio di Palermo? L’identità di quest’uomo barbuto è ancora un quesito senza soluzione, potremmo dire che si tratti di un vero e proprio enigma. Con certezza sappiamo che è un simbolo della città e dei suoi abitanti ma è anche un’entità a protezione e a tutela della cittadinanza stessa. Quindi si tratta di un nume tutelare, sempre rappresentato con le sembianze di un re di età avanzata, con la corona sul capo, con un serpente che gli succhia il capezzolo e i piedi in una conca.
Col trascorrere del tempo la rappresentazione del Genio si è ampliata con l’aggiunta di altri elementi iconografici, come un cane, uno scettro e un’aquila. Un linguaggio figurativo il cui significato non è chiaro. Il serpente potrebbe essere simbolo di rinascita, rifioritura e trasformazione. Invece, la corona e lo scettro si richiamerebbero al vigore fisico e biologico. Oltretutto, è stato anche evidenziato che nella mitologia greca il cane, il serpente e lo scettro sono elementi propri di Asclepio, il dio della medicina. Ma prendendo in considerazione la frase del Genio di Palazzo Pretorio si potrebbe pure pensare a Saturno, il dio del tempo che divorò i suoi figli. In questo caso, la scritta verrebbe letta in chiave allegorica: infatti, Palermo che divora i suoi figli potrebbe significare che il tempo (quindi Saturno) divora uomini e cose ma allo stesso tempo le rigenera in un moto senza sosta, in un divenire continuo e incessante di trasformazione e cambiamento.
A questo punto, possiamo passare in rassegna le varie statue del Genio sparse per Palermo. Esse sono in tutto otto e sicuramente la più famosa è quella di cui abbiamo finora parlato, cioè quella di Palazzo Pretorio. Quest’ultima fu scoperta nel 1596 in uno scantinato del palazzo municipale e fu trasportata, su ordine del pretore Francesco Del Bosco, laddove attualmente è collocata, a Palazzo Pretorio. Questo Genio viene definito in via colloquiale come “Palermo u nicu”, cioè il piccolo, in contrapposizione al “Palermo u grandi”, quello ubicato in piazza del Garraffo. Le origini del Genio di Palazzo Pretorio sono ancora avvolte nel mistero. Secondo una leggenda la statua venne donata alla città dal condottiero romano Scipione l’Africano, in riconoscenza dell’aiuto offerto da Panormos nella guerra contro i cartaginesi.
E sicuramente non si sa molto di più sulla genesi del Genio di piazza Rivoluzione. Sappiamo, però, che in origine la statua si trovava su una fontana nell’area dell’Arsenale e per questo conosciuta anche come “Genio del Molo”. In seguito, venne spostata al piano della Fieravecchia, nel cuore di un mercato, ma nel 1852 i Borbone decisero la dismissione della piazza poiché qui i loro nemici politici tenevano riunione, ponevano il tricolore italiano sulla statua del Genio e lo ritenevano simbolo della libertà. Per tali ragioni, il Genio venne tolto e portato in un magazzino dello Spasimo. Ma quando Garibaldi entrò a Palermo, intuì la rilevanza simbolica di quella statua che pertanto venne ricollocata in quella piazza, adesso denominata piazza Rivoluzione, in memoria dei combattimenti lì avvenuti, cuore del risorgimento palermitano.
Per quanto riguarda il Genio del Porto, conosciamo pochissimo: è comunque la rappresentazione più antica del Genio, oggi collocata in via Emerico Amari, all’ingresso del porto. Disponiamo di maggiori informazioni sul Genio del Garraffo, collocato nell’omonima piazza e scolpito nel 1483 da Pietro de Bonitate. In seguito, nella seconda metà del ‘600 venne ubicato in un’edicola muraria, in via Argenteria. Il Genio di Villa Giulia, invece, fu completato nel 1778 da Ignazio Marabitti e commissionatogli dal senato di Palermo.
Infine, vi sono altre due rappresentazioni: il Genio dell’Apoteosi, si tratta di un affresco compiuto nel 1760 da Vito D’Anna a Palazzo Isnello e il Genio del Mosaico, all’ingresso della Cappella Palatina.
In sostanza, sebbene l’identità del Genio di Palermo rimanga un enigma ancora da sciogliere, ciò che realmente conta è che esso venga considerato simbolo della città e protettore della stessa, come dimostrano le numerose rappresentazioni che è possibile ammirare in diversi luoghi della città. Ma il Genio di Palermo è anche qualcosa di più: è essenza della dimensione culturale di un popolo, è sostanza antropologica dell’essere palermitano. Potremmo dire, che il Genio di Palermo è simbolo della palermitanità.