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La scure del Covid e la mazzata del dpcm sui ristoratori: “Situazione tragica, serve una defiscalizzazione”

domenica 1 Novembre 2020

La condizione di base per lo svolgimento delle attività dei ristoratori, basate su una convivialità che di riflesso implica quelle forme d’assembramento che oggi sono veicolo di contagio, ha reso il mondo del Food&Beverage in tutte le sue sfumature uno dei più esposti alla pressione economica causata di riflesso dai provvedimenti adottati per il contenimento del Covid-19.

La mazzata che ha colpito il settore ha centrato indistintamente tutte le tipologie di esercizio senza risparmiare nessuno. Ovviamente il discorso vale anche per l’alta ristorazione, categoria che si prende in specifico esame non per insussistenti discorsi legati al prestigio o alla portata delle entrate ma in quanto sistema complesso spesso collegato con le strutture ricettive e dunque espressione di un indotto ancora più vasto rispetto a quello, comunque significativo, legato alla ristorazione standard.

Nunzio Campisi

Nunzio Campisi titolare del ristorante con albergo “La Vecchia Filanda” a Capri Leone (Me) inserito nella guida Michelin, ha tracciato un quadro abbastanza impietoso, segnalando quelle che sono le criticità principali che sta affrontando l’intero settore: “La situazione di quest’anno è veramente tragica. Le persone escono sempre di meno e il turismo si è ridotto quindi si perdono accessi sia per quanto riguarda il ristorante che l’albergo. Alla fine tra orari e divieti in queste condizioni essere aperti è come non esserlo. Vero che quest’estate si è lavorato però sono stati sostanzialmente quattro mesi di lavoro in un anno senza entrate. Gli aiuti che abbiamo ricevuto sono stati, per usare una definizione, bruscolini: La vera tragedia però è stato il fatto di non essere stati detassati praticamente di nulla: vero che erano stati rinviati i contributi INPS ma quello che non abbiamo pagato a maggio lo abbiamo pagato a settembre e quindi quel poco di guadagno se ne è andato subito lì. Solamente per aprire un’attività a prescindere dal flusso dei clienti dobbiamo affrontare spese importanti: se poi ci siano zero o cento persone cambia poco perché i consumi sono quelli e dunque vanno pagate le utenze.  Ci sono due aspetti fondamentali sui quali bisogna andare in soccorso delle attività: il primo è quello delle tasse perché a fronte di incassi che non ci sono doverle pagare subito rappresenta una mazzata; il secondo è quello degli affitti perché in un’attività rappresentano uno dei costi più elevati di gestione. Non tutti hanno la fortuna, come nel mio caso, di avere i locali di proprietà: senza un aiuto in tal senso i gestori rischiano il fallimento in poco tempo.

 

Giuseppe La Rosa

Giuseppe La Rosa proprietario della “Locanda Don Serafino” ristorante stellato dotato di una struttura ricettiva situato a Ragusa ha spiegato come, anche a fronte della volontà di trovare modalità di lavoro compatibili con le ultime misure emanate, gli ultimi provvedimenti rappresentino un colpo pesantissimo: “Allo stato attuale difficilmente una persona si sposta fuori in vacanza per fare un weekend essendo molte attività d’attrazione di fatto chiuse. L’unico vantaggio competitivo che può avere un hotel con ristorante è quello di poter fare il pacchetto ma questo è comunque limitativo specie in una fase in cui le persone si spostano per lavoro. La scelta di chiudere i ristoranti alle 18 è francamente incomprensibile. Già in questi mesi abbiamo pagato lo scotto di una circolazione ridotta con le persone che escono sempre meno perché terrorizzate. Si è detto a lungo che i principali veicoli del contagio sono i luoghi di grandi assembramenti come i trasporti pubblici; eppure, non si sta intervenendo su questo aspetto limitando invece le attività che con la diffusione del virus non hanno nulla a che fare dopo le chiusure della scorsa primavera. Noi adesso stiamo sperimentando nel fine settimana la formula del pernottamento all’interno della struttura alberghiera con il percorso degustazione che è l’unico modo in cui possiamo continuare a lavorare la sera ma ovviamente non è la stessa cosa. Lo facciamo per capire se possiamo sostenere gli effetti del Dpcm: ci stiamo provando ma se lo schema non dovesse funzionare dovremmo chiudere e mettere in cassaintegrazione. In una fase nella quale le entrate delle attività sono a zero nel momento in cui si decide di chiudere serve un sostegno concreto soprattutto per quello che riguarda l’aspetto fiscale senza limitarsi ad elargizioni a pioggia che per altro non sono sufficienti minimamente a coprire le voci dei costi di gestione”.

Martina Caruso

Martina Caruso, chef stellata dell’Hotel Signum dell’isola di Salina premiata per il suo lavoro col chef donna dell’anno nel 2019 dalla Guida Michelin ha spiegato come il clima generico di incertezza stia segnando profondamente il lavoro delle strutture: “Con le nuove misure la situazione è diventata ancora più pesante nonostante le tante regole precedenti rispettate in modo stretto che hanno dimostrato che nei ristoranti non si crea assembramento. La chiusura alle 23 ci avrebbe consentito di tenere la macchina economica attiva e dare lavoro alle tante persone che fanno parte del settore, che adesso perdono certezze. Gli aiuti sono arrivati ma il momento è lungo e impegnativo per tutti. In una fase nella quale non si lavora posticipare di poco tempo le tasse non ha senso: o la si leva o la si programma in un tempo maggiore dando il tempo alle attività di recuperare. Allo stato attuale noi siamo in chiusura stagionale: la stagione anche se è andata bene è stata una stagione breve segnata da un’incognita che si è ripresentata nei primi di ottobre. In questo caso parliamo di un ristorante-albergo che dà lavoro a 40 dipendenti, stiamo parlando quindi di 40 famiglie che rischiano di avere disagi seri”.

 

Tony Lo Coco

Quello che invece sollecita Tony Lo Coco, chef stellato del ristorante “I Pupi” di Bagheria è che a fronte di una situazione complessa vi sia da parte delle istituzioni una modalità d’intervento più elaborata a sostegno delle attività: “In questa fase di paura è diventato difficile fare tutto: il nostro è un lavoro che richiede programmazione e oggi è persino difficile andare a fare la spesa per la settimana visto che dall’oggi al domani lo scenario può peggiorare ulteriormente. Noi ci siamo presi un momento di pausa per valutare come dobbiamo adattare la nostra attività: durante il lockdown abbiamo sperimentato con successo il delivery anche perché era l’unico modo di portare avanti l’attività. Adesso ci stiamo organizzando per rinforzare al massimo il lavoro a pranzo. Bisogna pensare che fermare un ristorante significa soprattutto fermare un’intera filiera produttiva che va dal contadino al pescatore al rivenditore di vini passando anche per i servizi di lavanderia: non è una cosa da poco. Considerando che la pandemia è una situazione che si protrae nel tempo e che ha avuto diversi effetti negativi come, ad esempio, la limitazione del flusso turistico non si può pensare di risolvere il problema coi contributi una tantum sul momento: occorre al contrario una programmazione ragionata del piano d’aiuto ai ristoratori, e vale per tutte le categorie di settore, che tenga conto delle criticità che stiamo affrontando e che dobbiamo affrontare in questa fase con pochi incassi”.

Quanto di cui sopra è l’ennesima testimonianza del fatto che il prezzo delle chiusure sia diventato insostenibile per attività cui, a prescindere dalla portata, è legata la vita di tante figure professionali che si trovano in una condizione troppo precaria per essere affrontata con la giusta dose di serenità. Se la situazione epidemiologica, come purtroppo sembra evidente, impone delle decisioni drastiche allora a questo punto si rendono necessarie risposte forti. Una defiscalizzazione forte per tutte le attività colpite dal Covid è un gioco a perdere oggi che in futuro può diventare la più vincente delle scommesse.

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