Al Cara di Mineo inizia il trasferimento dei migranti. I primi ad andare via dal centro di prima accoglienza siciliano, sono 50 adulti, maschi e senza figli, ospiti da tempo nella struttura. Saranno smistati in altri centri “assistenza per stranieri”.
Il secondo blocco partirà il 17 febbraio e il terzo blocco di 50 migranti, dopo dieci giorni.
Invece, le famiglie con bambini e le situazioni ritenute maggiormente ‘vulnerabili’, come quelle di mamme sole con figli o persone con problemi di salute, resteranno per il momento nella struttura.
Il Cara di Mineo, che ha aperto i battenti sette anni fa, era già stato teatro di scandali e inchieste giudiziarie da quella per una presunta truffa da 1 milione di euro sui rimborsi spese, con liste che sarebbero state gonfiate ad arte, a quella sulla cosiddetta ‘parentopoli’ nelle assunzioni effettuate dalle cooperative che hanno gestito il centro.
Inoltre, davanti al Tribunale di Catania, è ancora pendente il processo a 15 persone imputate di turbativa d’asta per l’appalto dei servizi, dal 2011 al 2014. Dal procedimento è uscito Luca Odevaine, che ha patteggiato sei mesi di reclusione.
Nell’indagine sugli appalti era implicato anche il sottosegretario alle Politiche agricole, Giuseppe Castiglione. Anche per questo il centro era già entrato nel mirino di Salvini. Nel 2016 il segretario della Lega si augurava non solo che fosse chiuso ma anche raso al suolo, arrivando nel maggio 2017 a dormirci all’interno con tanto di social-reportage. Ad agosto 2018, da ministro dell’Interno aveva abbassato i toni annunciando comunque una stretta del numero degli ospiti – da 3 mila a 2.400 ospiti – e del costo pro-capite dell’accoglienza: da 29 a 15 euro.
“Questo è un centro di accoglienza richiedenti asilo. Tutti i cittadini stranieri presenti all’interno del campo, nel momento in cui ritirano il permesso di soggiorno se viene loro concesso, hanno l’obbligo di lasciare il campo”, spiega a ilSicilia.it il direttore della struttura Francesco Magnano. Che aggiunge “d’altro canto è inimmaginabile pensare di vivere la propria vita all’interno di una misura di accoglienza”.