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Paola Milicia, scrittrice di origini siciliane e vincitrice del “Premio InediTO 2019” racconta del suo lavoro

martedì 2 Luglio 2019

Paola Milicia, scrittrice di origini siciliane, vincitrice del Premio InediTO 2019 per la narrativa, «Si scrive gettando il cuore oltre… non importa dove… ma oltre».

Ciao Paola, benvenuta e grazie per la tua disponibilità. Come ti vuoi presentare ai nostri lettori?

Mi presenterei come una di loro, come una che risiede nella stessa grande comunità di lettori che ancora – e per fortuna – esiste, contrariamente a quanto si possa dire intorno alla lettura in Italia che sta via via scomparendo. I lettori non li fanno solo gli indici di vendita dei grandi gruppi editoriali! Sono una lettrice convinta e accanita ma anche molto selettiva: dopotutto, la lettura ci soccorre dando forma ai pensieri quando non siamo in grado da soli di dar loro una espressione più “decifrata”. E questo le conferisce una flessibilità che ripaga il nostro umore del momento, la nostra necessità di sentire certe voci piuttosto di altre. Flessibile dunque che si piega alla selezione che sentiamo di fare per il nostro piacere“.

Chi è Paola nella sua professione e nella sua passione per l’arte della scrittura?

Mi piace pensare di essere divisa in due metà che si ignorano quasi del tutto. E forse è giusto che sia così: per me ha funzionato separare la parte di me più “commerciale” che deve per forza di cose muovere la mia giornata a lavoro; e l’altra metà, quella che risorge grazie alla scrittura e alla lettura. Dopotutto, penso a grandi biografie della letteratura contemporanea come Franz Kafka o a Arthur Schnitzler per citarne alcuni a me cari, hanno “faticato” non senza frustrazioni ossessionanti, a far convergere il conflitto tra necessità e vocazione, lavoro e scrittura. Non è il mio caso ovviamente ma non nascondo che a volte, dopo una giornata di lavoro, ne esco quasi urtata per aver concesso al lavoro di appianare il mio slancio creativo“.

Qual è la tua formazione accademica e professionale? Come hai maturato l’arte di scrivere racconti, storie, ma anche saggi e ricerche di letteratura che risultano così interessanti?

Accademicamente parlando, mi dovrei definire una germanista grazie al fatto che ho una laurea in letteratura tedesca-ebraica. È stata e rimane la mia grande passione in cui mi rincontro quando mi perdo un po’ nei meandri della vita pratica e del lavoro. Avrei voluto rimanere nel mondo accademico, cioè svolgere una professione affine, ma la fortuna di aver trovato un lavoro sin da giovanissima (ero al secondo anno di università) mi ha tenuta, diciamo, con i piedi per terra. Ho studiato e lavorato ed ora mi riapproprio di questa vocazione scrivendo pezzi di narrativa breve (mi sono aggiudicata il primo premio al Premio Inedito di Torino 2019 con il racconto “Il mare di pietre”) ma anche stesure più articolate come un romanzo su cui sto lavorando, e lavori accademici come ghostwriter. Si può dire? In sintesi, la scrittura per me è il luogo perfetto in cui ritrovarsi”.

Come hai già detto, recentemente hai vinto il prestigiosissimo Premio Letterario InediTO 2019 per la narrativa, sezione racconti. Uno dei premi italiani più importanti per gli esordienti e per gli scrittori non ancora conosciuti al grande pubblico, organizzato e promosso dall’Associazione culturale Il Camaleonte di Chieri (TO). Ci racconti questa bellissima esperienza?

“Come tutte le cose belle, arrivano un po’ per caso. Avevo dato vita a questo racconto come in un delirio… erano notti insonni e scrivere mi faceva stare bene. L’ho fatto leggere ad un mio amico scrittore il quale mi ha consigliato di partecipare al concorso. Il resto è ancora presente. La vincita mi ha messo addosso una tale energia e una voglia di scrivere (e di essere letta) che non faccio altro che appuntare di tutto, rielaborare concetti su tovaglioli di carta, e poi scrivo”.

Da cosa nasce il racconto con il quale hai partecipato al Premio InediTO e cosa vuoi comunicare ai tuoi lettori con questo scritto?

Preciso che sebbene ci siano elementi riconducibili alla mia esperienza di vita, in senso allargato che include cioè anche i racconti di persone che conosco e frequento, non vuole essere una traccia autobiografico. Nasce dalla voglia di riportare alla mente alcune sensazioni stimolate dai sensi, che conservo della Sicilia e delle mie estati di bambina quando andavo a casa della nonna: l’odore di pane fatto in casa e dei biscotti bianchi sfornati al mattino, il canto ininterrotto delle cicale, i pomeriggi caldissimi e fermi in casa di nonna, il profumo di saponetta che usava. Diciamo che nasce da una biografia dei sensi che però è diventata anche altro, cioè, si è aperta ad un intreccio di storia e di fantasia che è appunto, il racconto. La storia, poi, fa da sottofondo ma è la vera protagonista: ho letto qualche stralcio di rapporti militari anglo americani sullo sbarco alleato in Sicilia, e ne sono rimasta scioccata. C’è ancora una Storia (con la maiuscola) che attende di essere raccontata e non è quella del chewing gum e dello swing di cui pure è fatta. C’è il dolore e la paura della gente siciliana, l’uccisione di civili, l’uccisione di carabinieri, c’è l’arroganza della guerra e dei più forti. Insomma, forse dovremmo avere il coraggio di dire che lo sbarco alleato non è stato solo rose e fiori come si dice. E forse, bisogna smettere anche di essere così grati. Abbiamo già pagato abbastanza. Ecco, il racconto (che sta diventando un romanzo) arriverà a questa conclusione, a questo messaggio insieme al fatto che le origini vanno sempre conservate come reliquie, come fossili che hanno preparato il nostro arrivo“.

Quali sono secondo te le caratteristiche, le qualità, il talento, che deve possedere chi scrive per essere definito un vero scrittore? E perché proprio quelle?

Non esiste una bella e una brutta scrittura, né uno scrittore che scrive male e uno bene. Perché scrivere male significa più qualcosa che ha a che fare col commettere errori grammaticali che non di stile. Quindi scrivere è un momento aperto un po’ a tutti anche se poi esiste un pubblico che crea il suo scrittore preferito perché “scrive bene”. Tuttavia, per diventarlo bisogna avere due qualità: un buon grado di osservazione di tutto: anche di quello che appare irrilevante, può diventare 10 pagine di un racconto; e una buona dose di coraggio: sì, perché quando si scrive non bisogna pensare a chi legge, ai familiari che ti criticheranno perché hai svelato cose di famiglia, agli amici che si sono reincarnati in perfetti idioti o cose di questo genere. Si scrive gettando il cuore oltre… non importa dove… ma oltre“.

Perché secondo te oggi è importante scrivere, raccontare con la scrittura?

Ti rispondo in due modi… Innanzitutto, lo si fa, che sia importante o no, per un certo auto compiacimento. Tutti gli scrittori lo fanno o lo hanno fatto, anche quelli che si sono riparati dietro l’affermazione che la scrittura ha rappresentato una terapia per sé stessi e basta. Mentono! Quando ci si scopre, tutto sommato, di scrivere meglio degli altri, la scrittura diventa una medaglia all’onore e scriviamo perché drogati di questa onnipotenza. Se è importante scrivere, dipende: se finiamo tutti col dire la stessa cosa, l’efficacia della scrittura si perde un po’ nell’aria. Mi viene in mente la situazione editoriale italiana: menomale che c’è ancora chi scrive bene, ma nessuno scrive in modo diverso dall’altro. Gli autori del momento sembrano giungere dalla stessa scuola stilistica e di pensiero, si osa poco e ancora ci sono tanti tabù. In questo contesto mi pare che non ci sia quella voglia di raccontare l’indicibile, di iniziare a sfidare il lettore con argomenti non più di terza mano. Ecco: la scrittura è importante se educa, se indirizza un pensiero, e se crea un dibattito nel cuore dei lettori. Se manca questo, è solo scrittura da spiaggia, edificante ma nulla più“.

Chi sono i tuoi modelli, i tuoi autori preferiti, gli scrittori che hai amato leggere e che leggi ancora oggi?

Ho una formazione molto classica che solo di recente sto trascurando per fare spazio alla letteratura italiana e americana contemporanea. Certamente il Faust di Goethe rimane un testo che mi ha commosso e che mi chiama ogni tanto, quando ho bisogno di conforto; Gustav Meyrink, benché non si possa definire un autore da podio, ha dato vita al romanzo il “Golem” che è semplicemente unico nel suo genere di primo approccio letterario alla psicoanalisi di Freud. Tra i contemporanei, mi piace Thomas Bernhardt, e tra i nostrani Alessandro Piperno, Diego De Silva e Domenico Starnone. Non ho però dei modelli di ispirazione“.

Nel panorama italiano contemporaneo, chi sono secondo te i più bravi scrittori che ti sentiresti di consigliare ad un’amica che ama leggere?

Molto difficile rispondere. A ognuno il suo gusto… Però trovo bella l’iniziativa di una farmacia, credo di Roma, che ad ogni paziente prescrive un libro a seconda delle sintomatologie che accusa. Chapeau al/la farmacista… deve avere una dote rara, che io non ho. Quindi se un’amica me lo dovesse chiedere, la mando in farmacia!“.

Charles Bukowski a proposito dei corsi di scrittura diceva … «Per quanto riguarda i corsi di scrittura io li chiamo Club per cuori solitari. Perlopiù sono gruppetti di scrittori scadenti che si riuniscono e … emerge sempre un leader, che si autopropone, in genere, e leggono la loro roba tra loro e di solito si autoincensano l’un l’altro, e la cosa è più distruttiva che altro, perché la loro roba gli rimbalza addosso quando la spediscono da qualche parte e dicono: “Oh, mio dio, quando l’ho letto l’altra sera al gruppo hanno detto tutti che era un lavoro geniale”» (Intervista a William J. Robson and Josette Bryson, Looking for the Giants: An Interview with charles Bukowski, “Southern California Literary Scene”, Los Angeles, vol. 1, n. 1, December 1970, pp. 30-46). Cosa pensi dei corsi di scrittura assai alla moda in questi ultimi anni? Pensi che servano davvero per imparare a scrivere?

No, non credo siano dei bancomat di creatività pronta all’uso. Ma è questo l’errore in cui inciampiamo: non bisogna aspettarsi questo da un corso di scrittura, come del resto da qualsiasi corso che sia di cucina (non si diventa chef) o di danza (non si diventa Nureyev) … Però insegnano, semmai, la disciplina alla scrittura, cioè, quella determinazione affinché la scrittura diventi una parte attiva e costante del quotidiano di uno scrittore debuttante. Allora hanno un senso… i corsi infondono quella carica a elaborare sempre e soprattutto a leggere tanto, tantissimo, che è alla base della scrittura“.

La maggior parte degli autori ha un grande sogno, quello che il suo romanzo diventi un film diretto da un grande regista. A questo proposito, Stanley Kubrik, che era un appassionato di romanzi e di storie dalle quali poter trarre un suo film, leggeva in modo quasi predatorio centinaia di libri e perché un racconto lo colpisse diceva: «Le sensazioni date dalla storia la prima volta che la si legge sono il parametro fondamentale in assoluto. (…) Quella impressione è la cosa più preziosa che hai, non puoi più riaverla: è il parametro per qualsiasi giudizio esprimi mentre vai più a fondo nel lavoro, perché quando realizzi un film si tratta di entrare nei particolari sempre più minuziosamente, arrivando infine a emozionarsi per dettagli come il suono di un passo nella colona sonora mentre fai il mix.» (tratto da “La guerra del Vietnam di Kubrick”, di Francis Clines, pubblicato sul New York Times, 21 giugno 1987). Cose ne pensi di quello che dice Kubrick? Pensi che le tue storie sappiano innescare nel lettore quelle sensazioni di cui parla il grande regista newyorkese? E se sì, quali sono secondo te?

Mi trovo d’accordo nel dire che le prime impressioni e sensazioni hanno un valore determinante e assoluto, così come quando si legge che le prime sensazioni non puoi più riaverle indietro. È il fascino del primo appuntamento poi le cose cambiano. Io credo che le mie storie colpiscano per aver reso semplici e meno meschine alcune nostre contraddizioni, o stati d’animo, o sfumature. Tendiamo a voler occupare una parte del campo, o tutta bianca o tutta nera, e poi quando scopriamo un personaggio che è grigio, ci meravigliamo di aver trovato un nostro simile. E ce ne innamoriamo. Ci innamoriamo di tanta umanità e debolezza. Proprio come siamo tutti“.

In Italia si pubblicano ogni anno circa 60-65 mila nuovi titoli, la media ponderata di vendita di ogni nuovo titolo è di circa 50 copie, mentre chi legge effettivamente l’opera letteraria acquistata non supera il 10%, il che vuol dire che delle 50 copia vendute solo 5 copie vengono effettivamente lette da chi acquista in libreria o nei distributori online. Partendo da questo dato numerico, che per certi versi fa impressione e ci dice chiaramente che in Italia non si legge o si legge pochissimo, secondo te cosa si dovrebbe fare per migliorare questa situazione? Cosa dovrebbero fare gli editori, i distributori, le librerie, e perché no?, gli autori come te per far aumentare il numero dei lettori e degli appassionati ai racconti e alle storie da leggere?

Non credo che in Italia non si legga, al contrario. Credo che sia il sistema editoriale italiano ad avere qualche problema con la lettura e con chi legge: intanto, non ci dovrebbero essere solo quei tre gruppi monopolistici dell’editoria a fare il bello e il brutto tempo. Ma bisognerebbe impegnarsi a supportare l’editoria emergente e con loro, gli autori emergenti. Perché anche quella degli scrittori editi è diventata una lobby, una “cricca” degli amici degli amici. Detto ciò, rimane ovvio il problema della distribuzione e con esso del prezzo di un libro: dai 16 ai 19 euro a libro. Cose da pazzi! Ecco perché non compriamo ma questo non significa che non leggiamo: intanto esiste un fornitissimo sistema bibliotecario che consente di prendere gratuitamente in prestito libri e manuali di ogni genere. Poi ci sono i libri usati, hai presente le bancarelle storiche del centro città… e quelli sfuggono dai numeri che fanno le grandi case editrici; e poi c’è la competizione dell’online. Trovo che a lamentarsi di questa situazione siano più gli editori che non i lettori ovvero traducendo, più i colpevoli che non le vittime“.

Una domanda difficile Paola: perché i lettori di questa intervista dovrebbe comprare e leggere i tuoi libri? Cosa diresti loro per convincerli a comprare e a leggere il tuo prossimo libro in uscita?

Non cercherei affatto di convincerli: troppa responsabilità! Preferirei che siano mossi dalla spontaneità per evitare che possano dirsi delusi in qualche maniera se stimolati oltre la loro volontà. Comunque, LEGGETEMI!

Quali sono i tuoi prossimi progetti e i tuoi prossimi appuntamenti? A cosa stai lavorando in questo momento e dove potranno seguirti i nostri lettori e i tuoi fan?

Sto ampliando il racconto Il Mare di pietre: in effetti, è già un racconto troppo lungo per stare nelle classiche “battute” richieste dalle riviste letterarie o dai premi in corso. Quindi ha già in sé un animo che vira verso il romanzo. Poi mi diletto a scrivere qualche recensione. Una di queste ha vinto un piccolo riconoscimento“.

Per finire, Paola, immaginiamo che tu sia stata inviata in una scuola media superiore a tenere una conferenza sulla scrittura e sulla narrativa in generale, alla quale partecipano centinaia di alunni. Lo scopo è quello di interessare e intrigare quegli adolescenti all’arte dello scrivere e alla lettura. Cosa diresti loro per appassionarli a quest’arte e catturare la loro attenzione? E quali le tre cose più importanti che secondo te andrebbero dette ai ragazzi di oggi sulla lettura e sulla scrittura?

Lo sguardo dei ragazzi è come un boomerang: bisogna aprirgli i confini, lasciare che guardino fuori la scuola, fuori la famiglia, fuori la solita cerchia di esperienze, così per farli incuriosire e accendere e poi farli rientrare nella scuola, nella famiglia e da dove solo apparentemente si sono congedati. Se a questi adolescenti, fornissimo l’opportunità di conoscere il gusto alla bellezza dell’arte, del teatro, della musica, di quello che c’è non solo sui libri ma nella vita vera, sono sicura che ci ritroveremmo con adolescenti che avrebbero voglia di scrivere, di andare al museo, di fare teatro. Organizzerei concerti nella scuola, dibattiti sulla scrittura, recite di fine anno, istituirei un giornalino della scuola… sulla falsariga di quanto avviene nel mondo formativo anglo–americano. Farei la preside!“.

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