Se la circostanza fosse confermata avrebbe del clamoroso: Totò Riina, il capo dei capi di Cosa nostra ormai scomparso, avrebbe avuto a sua disposizione un telefono cellulare mentre si trovava recluso nel carcere romano di Rebibbia nel luglio del 1993. Tutto ciò mentre si trovava recluso in regime di 41 bis, e quindi senza possibilità di comunicare con l’esterno.
La notizia viene riportata dal Fatto quotidiano, che racconta di come le indagini per verificare l’episodio, non ancora confermato, siano state avviate dopo che la circostanza è stato raccontata durante l’udienza del processo d’appello sulla Trattativa Stato-mafia lo scorso 14 ottobre. A riferirla è stato il giudice Andrea Calabria.
Secondo quanto riferito dal giudice Calabria, il boss corleonese sarebbe stato in possesso di un telefono cellulare mentre si trovava nel penitenziario capitolino: “Venne una segnalazione riservata del ministero dell’Interno, credo proprio dal capo dalla polizia – ha detto il magistrato durante l’udienza –, nella quale si ipotizzava che con l’ausilio di alcun agenti di polizia penitenziaria, a Rebibbia ,Riina avesse a disposizione un apparato per comunicare con l’esterno, un telefono o un telefonino”.
Nel racconto fornito ai giudici, Calabria riferisce di come fosse stato egli stesso, successivamente, a chiedere il trasferimento di Riina in un altro carcere, a Firenze, ma che il provvedimento, sempre secondo la versione di Calabria, fu stoppato in seguito da un altro magistrato, Francesco Di Maggio, vicecapo del Dap, il Dipartimento di amministrazione penitenziaria.