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Maxi operazione antimafia, 23 fermi nell’Agrigentino: anche avvocati e agenti infedeli

martedì 2 Febbraio 2021

Operazione antimafia dei carabinieri del Ros con il supporto dei Comandi provinciali di Palermo, Trapani, Agrigento e Caltanissetta: 23 i fermati nell’ambito di una inchiesta coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Palermo contro Cosa nostra e Stidda. In azione anche i militari del 12esimo Reggimento Sicilia, dello ‘squadrone’ eliportato ‘Cacciatori Sicilia’ e del nono Nucleo elicotteri. Tra le accuse, a vario titolo, quelle di associazione mafiosa, concorso esterno in associazione mafiosa, favoreggiamento personale e tentata estorsione. L’operazione e’ stata denominata ‘Xydi’.

I SUMMIT NELLO STUDIO DI UN AVVOCATO

Per 2 anni i capimafia di diverse province siciliane si sono riuniti nello studio di un’avvocata di Canicatti’ finita in cella oggi nel blitz dei carabinieri del Ros che ha portato a 22 fermi. La legale, difensore di diversi mafiosi, era la compagna di un imprenditore gia’ condannato per associazione mafiosa. Il suo studio era stato scelto come base logistica dei clan perche’ la legge limita le attivita’ investigative negli uffici degli avvocati. L’inchiesta e’ stata coordinata dalla Dda di Palermo.

Gli inquirenti hanno accertato che la donna, Angela Porcello, compagna di un mafioso, aveva assunto un ruolo di vertice in Cosa nostra organizzando i summit, svolgendo il ruolo di consigliera, suggeritrice e ispiratrice di molte attivita’ dei clan. Rassicurati dall’avvocato sulla impossibilita’ di effettuare intercettazioni nel suo studio, i capi dei mandamenti di Canicatti’, della famiglia di Ravanusa, Favara e Licata, un ex fedelissimo del boss Bernardo Provenzano di Villabate (Pa) e il nuovo capo della Stidda si ritrovavano secondo le indagini nello studio, per discutere di affari e vicende legate a Cosa nostra. Le centinaia di ore di intercettazione disposte dopo che, nel corso dell’inchiesta, i carabinieri hanno compreso la vera natura degli incontri, hanno consentito agli inquirenti di far luce sugli assetti dei clan, sulle dinamiche interne alle cosche e di coglierne in diretta, dalla viva voce di mafiosi di tutta la Sicilia, storie ed evoluzioni. Uno spaccato prezioso che ha portato all’identificazione di personaggi ignoti agli inquirenti e di boss antichi ancora operativi. L’indagine del Ros e’ stata coordinata dal procuratore di Palermo Francesco Lo Voi, dall’aggiunto Paolo Guido e dai pm Gery Ferrara, Claudio Camilleri e Gianluca De Leo.

I BOSS DIALOGAVANO ANCHE DAL 41 BIS GRAZIE AD AGENTI INFEDELI

Fra i 23 arrestati nel blitz dei carabinieri del Ros ci sono anche cancellieri, un ispettore di polizia e agenti della polizia penitenziaria che secondo il procuratore aggiunto della Dda di Palermo Paolo Guido e i sostituti Claudio Camilleri, Calogero Ferrara, Gianluca De Leo avrebbero permesso a tre boss di Agrigento, Trapani e Gela di mandarsi messaggi a distanza grazie all’assenza di controlli nelle sale colloqui delle carceri e alla complicità di alcuni agenti. Il boss agrigentino Giuseppe Falsone avrebbe sfruttato l’aiuto di un avvocato. Il legale riceveva le lettere non solo di Falsone ma anche di altri due capimafia di Trapani e Gela detenuti al 41 bis che non venivano sottoposte a censura e poi inviava le risposte ai tre boss detenuti a Novara.

CLAN SICILIANI E COSCHE NEGLI USA ANCORA IN AFFARI

Non sono mai cessati gli storici rapporti tra la mafia siciliana e Cosa nostra americana scoperti gia’ negli anni ’70 da Giovanni Falcone, il giudice ucciso a Capaci nel ’92. Lo conferma l’inchiesta del Ros che oggi ha portato a 22 fermi. Dall’indagine e’ emerso che emissari statunitensi della “famiglia” dei Gambino di New York nei mesi scorsi sarebbero andati a Favara, nell’agrigentino, per proporre ai clan locali business comuni.

TRA I FERMATI IL MANDATE DELL’OMICIDIO DEL GIUDICE LIVATINO

Tra i fermati nell’operazione antimafia del Ros, coordinata dalla Dda di Palermo, due sono stati piu’ volte condannati all’ergastolo per reati di mafia e omicidi. Uno in particolare, Angelo Gallea, e’ stato condannato quale mandante dell’omicidio del giudice Rosario Livatino, ucciso il 21 settembre 1990. Dopo 25 anni di reclusione e’ stato posto in semiliberta’ per scontare il residuo di pena. E ha ripreso le sue attivita’ riorganizzando la Stidda e riannodando contatti e rapporti con gli esponenti di Cosa nostra, tasselli di una pax mafiosa tra le due organizzazioni funzionale agli affari delle cosche sul territorio. (

MESSINA DENARO ANCORA CAPO RICONOSCIUTO DI COSA NOSTRA

Matteo Messina Denaro continua ad essere figura che gode di autorita’ e prestigio in Cosa nostra. E quanto emerge dall’indagine antimafia del Ros dei carabinieri sfociata nel fermo nei confronti di 23 persone, accusate a vario titolo di associazione mafiosa. Tra loro lo stesso superlatitante, che al momento rimane tale. Gli indagati rispondono a vario titolo di mafia, estorsione, favoreggiamento aggravato. Le cosche agrigentine, oltre a giovarsi di un’attuale e segretissima rete di comunicazione con il boss latitante, riconoscono unanimemente in Messina Denaro “l’unico a cui spetta l’ultima parola” in quel contesto territoriale sull’investitura ovvero la revoca di cariche di vertice all’interno dell’organizzazione. E’ sempre lui – “U siccu” – che autorizza e deve dare il benestare. Dalle indagine emerge infatti che Messina Denaro e’ a tutt’oggi in grado di assumere decisioni delicatissime per gli equilibri di potere in Cosa nostra, nonostante la sua eccezionale capacita’ di eclisssamento e invisibilita’ che lo rendono ancora imprendibile.

 

 

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