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“A Festa do Signuri”, la Festa del Santissimo Crocifisso di Papardura

martedì 10 Settembre 2019
Copertina Papardura

La Sicilia, come abbiamo più volte detto, è un’isola abitata da bellissime tradizioni religiose e, tra queste, non potevamo non contemplare la “Festa del Santissimo Crocifisso di Papardura” (EN), detta “A Festa do Signuri”, che si svolge il 13 e 14 settembre.

Partiamo dal nome della località, Papapardura, che dà origine a numerose ipotesi. La prima, dello storico Littara di Noto, lo fa derivare dalle acque che nella località sono abbondanti, pertanto Papardura significherebbe “località dalle acque perenni e cospicue”. La seconda fa affondare le sue radici nella parola persiana “Papar-dura”, acqua sorgente e dura, sinonimo di roccia. Gli arabi la chiamarono così per indicare la roccia dell’acqua sgorgante. Il maestro Salvatore Morgana, studioso delle vicende cristiane relative alla città di Enna, nel suo opuscolo, edito a cura della deputazione dei Massari del SS. Crocifisso di Papardura, narra che agli albori del cristianesimo i contadini e i pastori si riunivano nelle grotte alle pendici di Enna per pregare la Misericordia Divina e vi accendevano le caratteristiche lucerne ad olio.

Riporta, anche, che nel 1546 un tale Angelo Lo Furco, nei pressi di Papardura, costruì, dentro una grotta, un oratorio, facendo dipingere, sulla parete, una scena raffigurante la Crocefissione. Col passare del tempo della grotta si persero le tracce perché fu ricoperta da detriti. Sempre secondo il maestro Morgana, nel 1696, con i contributi di una deputazione di Procuratori, detta dei “Massari”, fu costruito un ponte per l’edificazione della chiesa, con inglobamento della grotta in cui è rappresentato il Santissimo  Crocifisso.

Papardura

Si narra che, dal Natale del 1742 al 30 novembre 1743, non si ebbero né pioggia, né venti umidi e, a causa di ciò, seguì un altro duro inverno con raccolti così scarsi da provocare una grande carestia. Nel 1746 si svolse una processione penitenziale fino al Santuario e i pellegrini, giunti nella Chiesa di Papardura, si videro accolti dal parroco che annunziò che i Procuratori della Chiesa, in omaggio a Gesù Crocifisso, ogni anno per la festa, avrebbero distribuito delle piccole “Collorelle”, Cudduredde, biscottate, benedette, a forma di delta greca, croce santa, fatte con un impasto di pane azzimo. La sorpresa è che furono preparate all’istante, con la speranza che tale gesto potesse favorire un abbondante raccolto di grano.

Quell’anno la terra fu così generosa che, non bastando i granai, furono utilizzati persino gli oratori delle Confraternite, che erano a disposizione di tutti. Le Cudduredde sancirono una devozione che da allora permane fino ai giorni nostri, come atto di ringraziamento per la fine di quel periodo di magra. Coloro che parteciparono alla processione furono così descritti: “Erano tutti a piedi scalzi e sembravano usciti dalle sepolture, i capelli scarmigliati, la corda al collo, piangevano e pregavano.”

Papardura

La leggenda
La leggenda vuole che, nel 1600 circa, alcune pie donne sognarono che nella parte più alta della sorgente di Papardura vi fosse raffigurata l’immagine di Gesù crocifisso e che diverse persone, che vi avevano pregato, fossero state miracolate. Nel luogo indicato, quindi, si procedette alla rimozione dei materiali, accumulati nel tempo, e con grande stupore comparve la grotta con l’immagine del Salvatore. Molti devoti, visto che la voce dei suoi prodigi si sparse in tutta la Sicilia, accorsero a visitarla.

Si racconta, inoltre, che nel 1699 ad un massaro cadde, da un dirupo, una vitella, che riportò la frattura delle ossa del collo. Il povero uomo, disperato, invocò la grazia del Crocifisso affinché la giovenca fosse salvata e chiese al cappellano della chiesa di S. Cataldo di raggiungerlo nel burrone, sotto la rupe di Papardura, per benedire l’animale sofferente che, miracolosamente, si rialzò da solo, come se non fosse accaduto niente. Il massaro donò al Santuario una vitella per essere cucinata e mangiata dai Procuratori e dai pellegrini più poveri, con l’obbligo di inviare al parroco la testa e il collo dell’animale.

Nel corso dei secoli, e fino ai giorni nostri, il Santuario, che è sotto la giurisdizione della parrocchia Mater Ecclesiae, è stato ed è, ancora, amministrato da una deputazione di procuratori detta proprio dei “Massari” che, ogni due anni, elegge un presidente, un depositario, due consiglieri e un segretario. Da quando la venerazione alla sacra Immagine di Papardura comincia a diffondersi, i devoti del Crocifisso presero l’abitudine di affluire al Santuario in ogni periodo dell’anno, ma in modo particolare nei venerdì di Quaresima e nei giorni festivi che gli si dedicano a settembre.

Festa del Santissimo crocifisso Foto Arangio

La festa del Santissimo Crocifisso ai giorni nostri
Dal 12 settembre, e per tutto il mese, migliaia di persone si recano al Santuario, anche se i giorni clou sono il 13 e il 14, quando vi vengono celebrate le messe, a partire dalle 8, e in cui i fedeli sono omaggiati dai Procuratori, a fine celebrazioni con le cudduredde e il tradizionale caffè e biscotti. Il 14 settembre, inoltre, si svolgerà la benedizione presso il Calvario di tutti i Massari e di tutti i fedeli che vi si recheranno. Di anno in anno il numero dei fedeli in pellegrinaggio aumenta, nel segno della tradizione e della fede.

All’indomani dell’ultima domenica di agosto, per i primi tre giorni della settimana, “i massari”, ovvero i contadini, effettuano il giro della città per la raccolta delle offerte e la tradizionale distribuzione dei “santini”, con a seguito ciaramelle e tre muli addobbati a festa. Nella settimana successiva, sempre nei primi tre giorni, preparano le “cudduredde”coadiuvati dalle donne di famiglia e dai fedeli che, per devozione, ne confezionano a migliaia. I riti religiosi si concludono il 14 settembre sul calvario, ovvero la collinetta appena fuori Gerusalemme su cui salì Gesù per essere crocifisso. Dopo l’ultima messa i “Procuratori”, assieme al sacerdote, si recano nel Calvario di Papardura, dove viene effettuata la benedizione con la reliquia della Spina Santa.

Il Santuario, che si conferma luogo di culto e preghiera, di ritiro spirituale tutto l’anno, viene apprezzato anche per la sua bellezza architettonica e per la storia che viene tramandata, da generazione in generazione, dai Massari.

[Una delle bellissime immagini è del fotografo ennese Giuseppe Arangio]

 

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