E’ un processo infinito quello a Natale Romano Monachelli, accusato di aver ucciso, il 21 novembre 1994 a Villagrazia di Carini (Pa), il fratello Filippo, tossicodipendente, e la cognata Elena Lucchese. Il processo è tornato in appello dopo l’annullamento con rinvio della Cassazione della condanna in secondo grado (24 anni) e ieri il pg Giuseppe Fici ha chiesto nuovamente la condanna a 24 anni. In primo grado la corte d’assise lo aveva assolto.
Fu il pentito Angelo Fontana, ex boss dell’Acquasanta, nel 2009, ad aiutare gli investigatori a far luce su un caso rimasto oscuro per anni. Chiamato a testimoniare sui retroscena di un altro omicidio, quello del boss Giovanni Bonanno, il collaboratore riferì che Bonanno era tra i killer di Monachelli e chiarì il movente dell’assassinio. Venne fuori così che a organizzare il delitto era stato il fratello della vittima stanco del discredito portato da Filippo, tossicodipendente, alla sua famiglia. La moglie, invece, era stata eliminata perché era una testimone scomoda. Ma le accuse del pentito non ressero in giudizio e Monachelli – assistito dagli avvocati Salvatore Pirrone, Angelo Barone e Concetta Cancelliere – fu assolto per non aver commesso il fatto. L’imputato si era intanto rifatto una vita a Stoccolma. Il suo ristorante “Piazza Italia”, era uno dei più frequentati dagli amanti del cibo italiano. Aveva portato con sé anche il figlio del fratello; poi si era risposato con una svedese. Proprio la donna, che in un primo momento lo aveva accusato del delitto dicendo di esserne a conoscenza, ha successivamente ritrattato e adesso è stata rinviata a processo per falsa testimonianza.
Nel frattempo, proprio che il pg aveva concluso per la prima volta la requisitoria, si sono aggiunti nuovi testimoni. Ha infatti deposto per la prima volta in un processo il nuovo pentito del Borgo Vecchio a Palermo, Giuseppe Tantillo (in foto), che sposta il movente dell’omicidio sul traffico di droga. In particolare, le due vittime – secondo Tantillo – avrebbero fatto uno sgarro alla mafia e dovevano essere eliminate, ad incaricarsi del delitto sarebbe stato l’imputato (pur non essendo né affiliato né vicino agli ambienti mafiosi).
Tantillo all’epoca dei fatti aveva 15 anni e quando stava per compierne 16, assieme al fratello maggiore, Domenico Tantillo, detto Mimmo, che poi sarebbe divenuto il reggente della famiglia del Borgo Vecchio, avrebbe sentito parlare della tragica fine dei due coniugi. A parlarne con loro sarebbe stato Ninetto Madonia, presunto capo mafia del Borgo vecchio. Tutti e tre erano chiamati a rispondere, ma solo Giuseppe Tantillo ha deposto. La difesa dell’imputato ha poi chiesto di sentire i pentiti Francesco Chiarello e Monica Vitale che hanno invece sottolineato “l’inaffidabilità” di Tantillo, considerato un “confidente delle forze dell’ordine” e in quanto tale non poteva avere avuto queste informazioni. La sentenza è prevista per il 23 gennaio.