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A proposito delle dichiarazioni del presidente della Liguria

martedì 3 Novembre 2020
Giovanni Toti, Forza Italia

Le dichiarazioni del presidente della Regione Liguria Giovanni Toti, hanno provocato, com’era prevedibile, dure reazioni e severi commenti.

Il presidente, infatti, aveva dichiarato che dei venticinque decessi in Liguria ventidue erano persone anziane, per lo più in pensione, non indispensabili allo sforzo produttivo del Paese, anche se poi aveva concluso “che però vanno tutelate“.

Una correzione che però non è stata sufficiente a risparmiargli epiteti pesanti nei social, e non solo.

La vicenda potrebbe chiudersi qui, con l’opinione che ognuno liberamente può trarre, se siamo di fronte a un ritardato mentale (la maggioranza) o si sia trattato di una gaffe, di un’infelice battuta (una minoranza).

Le considerazioni di Toti, purtroppo, non appartengono né al primo caso né al secondo. Non sono un caso isolato, ma si stanno diffondendo in diverse aree sociali, anche se non siamo in grado di definirne la dimensione sociale e numerica. Siamo di fronte, infatti, a una regressione morale e civile che il Covid ha accentuato, ma che era già presente prima che scoppiasse la pandemia.

All’inizio del nuovo secolo dopo il crollo del comunismo e dell’Unione Sovietica, che si presentava come l’alternativa al capitalismo, tutti erano convinti che si fosse agli inizi di una nuova Età dell’Oro.

L’economia era in una fase di espansione e si esaltavano le virtù di un mercato senza regole e vincoli etici, a cui era affidato perfino il compito di regolare la vita civile e sociale.

Il profitto non guardava in faccia nessuno, né la dignità del lavoro, il bene della comunità, il rispetto della natura e dell’ambiente della legalità e della moralità.

La globalizzazione era esaltata in tutti i suoi aspetti e concetti come solidarietà e welfare erano da considerare un residuo del passato e che per comprendere la modernità bisognasse affidarsi al mercato.

Solo la voce di Papa Francesco ammoniva “a non portare con sé valori avariati che rovinano la vita e tolgono la speranza”.

Poi è arrivata la doccia fredda, la grande crisi del 2008. La crescita non era più illimitata, le ingiustizie provocate da un’ingiusta distribuzione della ricchezza non aiutavano lo sviluppo e l’accrescere del disagio sociale indeboliva la tenuta democratica. Come ci spiegava, infatti, Amartya Sen le restrizioni economiche tendono sempre a fare regredire l’individuo sul piano della sicurezza e della libertà.

Da quella esperienza bisognava trarre la lezione che era necessario costruire un nuovo ordine economico e sociale. Si è scelta invece la vecchia strada e quando è piombato il Covid ha trovato una società meno solidale con un welfare smantellato e ci siamo scoperti più poveri, indifesi e sfiduciati.

Da più parti, nel pieno della prima ondata del virus, si sostenne che da quella crisi saremmo usciti migliori. La realtà smentisce quella profezia che in parte si poggiava sulla previsione ottimistica che sarebbe finita presto.

È probabile, invece, che saremo peggiori, più cattivi, più egoisti. Per questo le dichiarazioni di Toti oltre che a indignarci ci dovrebbero preoccupare. Vivremo in una società in cui ognuno penserà al suo “particulare”, in cui si affermerà la legge del più forte , in cui i più deboli e indifesi saranno emarginati perché considerati un peso, un intralcio per ricostruire un minimo di benessere che non potrà essere per tutti.

Toti da questo punto di vista, anche se non arriva alla stessa conclusione, almeno si spera, ci ricorda che nell’antica Sparta quelli che appena nati presentavano disabilità, per cui non erano buoni per la guerra, venivano scaraventati dalla rupe Tarpea.

Torneremo all’ homo homini lupus di hobbesiana memoria?

Solo la nobilitazione della società civile forse potrà impedire questo soprattutto quando le istituzioni si presentano deboli e divise.

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